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K2, scansano il corpo dello sherpa e lo lasciano morire: l'orrore

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Giordano Tedoldi
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Ogni sport si porta dietro la sua retorica: la fratellanza, la solidarietà, il fair play, il gioco di squadra, i “compagni”, ma adesso anche quello che sembrava conservare un briciolo di purezza e di romanticismo rispetto al business e alla sete di vittoria, l’alpinismo, sembra aver definitivamente perso la sua innocenza.

Lo scorso 27 luglio, dopo un lungo periodo di maltempo che aveva tenuto tutti fermi, è partita una folta cordata di scalatori, organizzata da diverse compagnie, con i loro portatori e i loro sherpa, per conquistare la vetta del K2, la seconda vetta più alta del mondo, dopo l’Everest. Tra gli scalatori ce n’erano alcuni alla spasmodica caccia di un record, come la scalatrice norvegese Kristin Harila, che inseguiva il traguardo di aver scalato tutti gli “ottomila” (così vengono chiamate le quattordici montagne al mondo che superano gli ottomila metri di altitudine) in 92 giorni. Non si capisce bene che razza di record sia, in effetti, ma al nostro tempo, tutto è un record, tutto è un “achievement” come dicono gli anglofoni, tutto deve rispondere all’obbligo prestazionale di essere i primi, gli unici in qualcosa. Ben altra cosa, per dire, fu il record di Reinhold Messner, quando nel 1986, per primo, scalò tutti gli ottomila.

 

 

 

BISOGNO DI DENARO

Ma torniamo alla scalata del K2. Tra i portatori d’alta quota c’era il pakistano Muhammad Hassan, il quale, secondo le testimonianze raccolte, affrontava per la prima volta il K2 e non aveva nemmeno un equipaggiamento del tutto adeguato, ma aveva bisogno di soldi per curare la madre malata. A un certo momento, la cordata, all’altezza del cosiddetto “collo di bottiglia” (già oltre gli ottomila metri) e sul punto di aprire la via al successivo “traverso”, passaggio particolarmente periglioso prima della spinta finale per giungere alla cima, intorno alle due e mezza di notte, si è trovata alle prese con alcune valanghe, e forse per via di una di esse, o per un errore suo o di qualcuno del gruppo, Hassan è caduto, gli si è rotta la maschera per l’ossigeno, ed è rimasto a testa in giù, sotto il traverso, appeso alle corde, per un tempo imprecisato, forse un’ora, forse di più. Alla fine, i compagni di scalata sono riusciti a tirarlo su, ferito ma ancora vivo, ma invece di organizzare il soccorso e di tentare a ogni costo di salvarlo, come dimostra un video realizzato con un drone e un altro di uno scalatore, oltre a diverse foto scattate da uno sherpa, gli scalatori hanno deciso di procedere verso la cima, lasciandolo lì, aggirandolo come un ostacolo. Un ostacolo che, secondo tutti gli indizi raccolti, in quel momento ancora respirava, e il cui cuore ancora batteva.

E poi, scendendo, stesso discorso: lo hanno aggirato o scavalcato. La disgrazia non ha impedito che alcuni degli scalatori si immortalassero sulla cima del K2, in atteggiamento trionfale, felici di aver realizzato una grande impresa sportiva, o di aver conquistato qualche astruso record di terz’ordine, e senza il minimo scrupolo, evidentemente, di avere allo stesso tempo compiuto un’azione disumana, indegna.

LE LACRIME DI TAMARA

L’accaduto è stato commentato con particolare dolore e rabbia dall’alpinista bolzanina Tamara Lunger che, dal suo profilo Facebook, non le ha mandate a dire: «Una cosa del genere è ancora normale? Può davvero essere che una vita non conti più? Ho davvero avuto bisogno di qualche giorno per sistemare i miei pensieri perché sono rimasta profondamente delusa, triste e mi è venuto da piangere quando ho visto il video della salita in vetta del K2 del 27 luglio, in cui diversi scalatori passano sul morente portatore Mohammad Hassan per spuntare altri 8.000 sulla loro lista. Non voglio fare nomi ma anche famosi scalatori erano presenti in quella giornata!!! E il mondo li celebra. Sono davvero questi i valori di oggi? È nauseante come la gente possa essere così indifferente, egoista, avida e priva di compassione [...] L’intero comportamento [degli scalatori] su questi che per me sono i luoghi più sacri del mondo incarna la nostra malata società della performance. Per me questi non sono scalatori, perché dovrebbero avere un minimo di rispetto, di solidarietà e di etica». E ha concluso la sua accusa indignata: «Sono profondamente rattristata, perché l’alpinismo, un tempo anche un po’ romantico, va in una direzione che per me è semplicemente malata e orrenda!» Dopo queste parole perfette, non c’è altro da aggiungere

 

 

 

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