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Il generale Bertolini: "Ecco cosa Putin non accetterà mai"

Annalisa Chirico
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 «Sul piano militare non è ipotizzabile una vittoria ucraina, bisogna prenderne atto e sedersi al tavolo de negoziato», dice così a Libero il generale Marco Bertolini, classe 1953, in pensione dal 2016, una carriera prestigiosa, a capo del Coi e della Folgore, con incarichi al vertice di delicate missioni internazionali tra Afghanistan, Libano, Somalia, Bosnia e Kosovo. «Questa guerra doveva essere fermata molto prima, in questi mesi invece si è coltivata la retorica del “vincere, vinceremo” alimentando nell’opinione pubblica l’aspettativa di una vittoria che sul campo non è possibile. Gli ucraini non sono in grado di prevalere».

 

 

 

Secondo il “Washington Post”, l’intelligence Usa ritiene che la controffensiva ucraina sia destinata a fallire. 
«È una presa d’atto: gli obiettivi di Kiev non sono alla portata, né nei modi né nei tempi previsti. La controffensiva procede a rilento, l’unica avanzata ucraina si è registrata a Kharkiv dove le forze russe, vista l’inferiorità numerica, si sono semplicemente ritirate. Nona caso, qualche giorno fa Jenssen, capo di gabinetto del Segretario generale della Nato Stoltenberg, ha ventilato la possibilità che l’Ucraina ceda parte dei territori a Mosca in cambio dell’ingresso nella Nato. Fino a poco tempo fa, non si poteva dire. Adesso lo scetticismo sulle reali capacità ucraine prende quota anche in Occidente, la narrazione comincia a cambiare».
Che cos’è cambiato dopo diciotto mesi di conflitto in cui, tra morti e feriti sia russi che ucraini, si contano 500mila vittime? 
«Sono numeri enormi. Lei pensi che durante la Prima Guerra mondiale l’Italia perse 650mila soldati. Parliamo di giovani, di padri di famiglia. È un dramma spaventoso che andava fermato prima. Evidentemente, da più parti, ci si è resi conto che la possibilità di riconquistare tutto il territorio occupato dai russi non è realistica. Tale possibilità non esiste nei fatti, e con i fatti, in guerra, bisogna fare i conti. È chiaro però che ai russi non può bastare un cessate il fuoco con la prospettiva che, un attimo dopo, l’Ucraina entri nella Nato e possa riaprire le ostilità. Il conflitto si può chiudere soltanto con un negoziato onorevole per entrambe le parti. Lo sconfitto non può essere umiliato: è l’abc della guerra».

 

 

 


A “Le Figaro” Sarkozy ha detto che Putin ha sbagliato ma “occorre trovare una via d’uscita” che includa la neutralità dell’Ucraina. Lei che pensa? 
«Georgia e Crimea sono sempre state delle linee rosse per la Russia, qualunque presidente russo - non solo Putin - mai acconsentirebbe all’ingresso della Georgia nella Nato, e lo stesso discorso vale per la Crimea. Due delle cinque flotte russe si trovano nel mar Nero che rappresenta, per Mosca, l’unico collegamento con il Mediterraneo e con l’Europa. La guerra vera che si sta combattendo è per il controllo del mar Nero. Per arrivare a un negoziato serve una soluzione onorevole.
All’avversario va sempre lasciato un margine di manovra, per quanto ristretto. Se l’obiettivo è umiliarlo non si va da nessuna parte. La stessa incriminazione di Putin presso la Corte penale internazionale è un ostacolo sulla via del negoziato. Putin non intende fare la fine di Saddam o Milosevic».
“Soluzione onorevole” per Putin: quale? 
«Credo che Putin non possa rinunciare al Donbass e alla Crimea».
Com’è possibile che la Russia, con i suoi armamenti antiquati e qualche errore di valutazione, mostri una inaspettata capacità di tenuta sul terreno? 
«I russi prevalgono per massa e fuoco. La potenza di fuoco sprigionata dai russi, sopratutto con l’artiglieria, è superiore, e questo fa impressione se si pensa agli aiuti arrivati in Ucraina da tutto l’Occidente. I russi hanno sbagliato a pensare che la marcia su Kiev potesse risolversi in una manciata di giorni, ma anche dalle nostre parti hanno sbagliato quanti prevedevano una vittoria facile dell’Ucraina. La Russia tiene e non c’è nessun regime change alle porte».

 

 

 

Gli ucraini sono penalizzati dalla lentezza nell’invio di armi? 
«Una questione cruciale è l’addestramento. Un pilota militare impiega mesi prima di diventare “combat ready”, sopratutto quando si parla di aerei tecnologicamente avanzati, di apparecchiature sofisticate. Molti manuali di istruzioni sono in lingua inglese, e anche questo è un ostacolo. Attualmente gli ucraini stanno esercitando lo sforzo principale nell’oblast di Zaporizhzhya mentre le incursioni sulla riva destra del Dnepr, ad oggi, non hanno dato alcun risultato. Gli ucraini procedono con lentezza impiegando riserve che si sarebbero dovute destinare a una fase successiva. Le risorse messe in campo non sembrano sufficienti a produrre una incursione in grado di tagliare in due il ponte terrestre di collegamento tra Donbass e Crimea».
Melitopol, che doveva essere uno dei principali obiettivi della controffensiva, rimane in mani russe?
«In questo momento gli ucraini si trovano a circa 60 km, in linea d’aria, da Melitopol. In questa area i russi hanno avuto il tempo di predisporre linee difensive strutturate, parlo di campi minati, fortificazioni, sbarramenti anticarro. In più, c’è la superiorità numerica a favore dei russi: in ogni epoca la massa, vale a dire il numero di combattenti, fa la differenza sul campo».
Lei diceva che anche l’Occidente ha fatto qualche valutazione errata.
«C’era l’idea di una rapida sconfitta dei russi, forse ignorando anche il fatto che larga parte dell’opinione pubblica russa è con Putin che, dunque, non può rinunciare a ogni velleità di potenza. C’è stata una sopravvalutazione del potenziale tecnologico occidentale. In guerra la tecnologia conta ma non basta. Un esercito tecnologicamente avanzato ma con pochi uomini e con poche baionette è destinato a soccombere. I russi riescono a produrre più munizionamento di tutto l’Occidente, anche grazie alla riconversione dell’industria nazionale. I russi sono numerosi, l’Ucraina invece ha perso milioni di cittadini, fuggiti all’estero o in Russia. I russi possiedono i missili ipersonici, gli americani no».
Il presidente Biden potrebbe avere interesse a presentarsi alle prossime presidenziali con un piano di pace per l’Ucraina?
«Nelle elezioni dell’anno prossimo, Biden ha bisogno di presentarsi o con una guerra vinta o con un deciso vantaggio. C’è poi la situazione di Taiwan che è molto più rilevante per gli interessi strategici americani perché il principale avversario degli Usa non sta a Mosca ma a Pechino».
Per la Cina il vertice voluto da Biden a Camp David con Giappone e Corea del Sud prelude alla nascita di una “Nato asiatica”. Concorda?
«Da un paio d’anni esiste l’Aukus che è un patto di sicurezza trilaterale tra Usa, Australia e Regno Unito. Giappone e Corea del Sud rappresentano un pezzo di Occidente in Oriente, per tutti loro lo status di Taiwan è una questione primaria». 

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