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Israele, Michael Walzer: "Fallimento storico dei servizi. E l'errore di Netanyahu"

Francesco Carella
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«Il 7 ottobre passerà alla storia come il giorno in cui è crollato il mito dell’esercito israeliano come forza invincibile». Michael Walzer, cattedra a Princeton, maestro del pensiero liberal e teorico della “guerra giusta”, è incollato agli schermi della Cnn nella sua casa di New York fin da quando sono arrivate le prime notizie dell’attacco senza precedenti sferrato da Hamas fin dentro il territorio israeliano, seminando il terrore fra la popolazione civile, uccidendo parecchie centinaia di cittadini inermi e ferendone a migliaia nel Sud del Paese. Mentre il primo ministro, Benjamin Netanyahu, dichiara che Israele è in guerra e ordina raid sulla Striscia di Gaza, là dove si contano centinaia di vittime e migliaia di feriti. Il professore scandisce le parole lentamente a riprova che vive le terribili notizie che apprende di minuto in minuto con una forte partecipazione emotiva. Ci riferisce di essere in costante contatto telefonico con suo fratello, che vive nei pressi di Gerusalemme, E di sentirlo preoccupato come mai gli era accaduto.

Professor Walzer, le notizie ufficiali che arrivano da Tel Aviv sono incerte. Non si conosce esattamente il numero delle vittime né quello degli ostaggi, per tacere su quanti terroristi siano ancora presenti e attivi sul territorio di Israele. Che cosa sta succedendo?
«È ancora presto per capire bene ciò che effettivamente stia accadendo. Più guardo le immagini dello scempio compiuto da Hamas e più non riesco a trovare una ragione del totale fallimento dello Shin-Bet (l’agenzia d’intelligence per gli affari interni, ndr). Un attacco di questo tipo, come stanno spiegando in queste ore gli esperti, richiede una lunga e meticolosa preparazione. Continuo a chiedermi come possa essere stato possibile non averne avuto il benché minimo sentore».

La verità è che non è la prima volta che ciò avviene. Giusto cinquant’anni or sono Israele fu colta di sorpresa, quando scoppiò la guerra dello Yom Kippur.
«Ed è proprio in vista di una tale ricorrenza che sarebbe stato necessario mettere in campo tutti gli strumenti indispensabili, per evitare di mandare in replica la storia, come purtroppo è successo».

Intanto, la guerra è scoppiata, mentre sul territorio israeliano i terroristi di Hamas continuano a seminare il panico, per non dire degli oltre cento ostaggi fra civili e militari finiti nelle loro mani.
«I problemi sul tappeto sono tanti sia di ordine militare, che sono quelli che richiedono una risposta immediata, sia di carattere politico. In primo luogo, è urgente mettere in sicurezza il Paese, scacciando i terroristi. In tal senso, le informazioni che abbiamo sono molto confuse. La qual cosa aumenta le mie preoccupazioni su ciò che potrebbe ancora accadere nelle prossime ore anche nel Nord. Israele sta pagando a caro prezzo i gravi errori commessi negli ultimi anni in termini di strategia politico-militare. Ha impiegato gran parte dell’esercito in Cisgiordania in difesa dei coloni infuriati, dimenticando clamorosamente di impegnare forze e capacità nella protezione dei confini».

Nessuno crede che un’organizzazione come quella di Hamas possa operare senza ricevere aiuti militari e logistici di tipo internazionale. Qual è il ruolo che sta svolgendo l’Iran in quell’area?
«Presumo che l’Iran sia politicamente coinvolta in questa operazione probabilmente attraverso gli Hezbollah. L’obiettivo di Teheran è chiaro ed è quello di impedire che Israele e Arabia Saudita chiudano definitivamente un accordo che, di fatto, romperebbe l’isolamento di Israele in un Medio Oriente destinato ad avere una funzione rilevante anche nella costruzione di un nuovo ordine mondiale. Di qui l’importanza che Israele riceva aiuti e solidarietà con maggiore convinzione sia dagli Stati Uniti che dall’Unione europea».

Alla luce dei fallimenti di cui abbiamo parlato, quale futuro attende il governo guidato da Benjamin Netanyahu?
«Difficile fare previsioni. Sarà la sua fine se verrà riconosciuto quale responsabile sia del fallimento militare che della mediocre prestazione dell’intelligence. Ho sentito Ehud Olmert, ex primo ministro, dire che Israele doveva colpire duramente Hamas e, nello stesso tempo e in modo riservato, riattivare i rapporti con l’Autorità Palestinese. Sottoscrivo. Era la strada giusta da seguire, ma non è stato fatto». 

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