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Indi Gregory, la sua sola colpa? Quella di esistere: vergogna è fatta

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Corrado Ocone
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Indi Gregory, privata degli alimenti che la tenevano in vita, è morta l’altra notte nell’hospice ove era stata trasportata. Non è una notizia da prendere a cuor leggero, o da trattare con superficialità. E forse il 13 novembre 2023 passerà alla storia come una data epocale per l’Occidente. Mai prima era accaduto, a nostra memoria, che uno Stato di questa parte di mondo, che si fregia di avere inventato il diritto e la democrazia, mandasse a morte un suo cittadino a cui era imputato semplicemente... di esistere.

Non un cittadino qualsiasi, ma una piccola e indifesa bambina il cui unico torto era quello di essere stata considerata “inadatta” alla vita da una legge severa e arcigna. Quasi che possa esistere un’autorità, pubblica per di più, che si arroga questo diritto. E che lo si arroghi in nome non solo della piccola - che non sa e non capisce ma che vuole solamente vivere (l’istinto alla sopravvivenza ce l’hanno anche i neonati)- ma anche in nome di quei genitori che l’hanno messa al mondo e che si auguravano ben altro esito alla loro triste vicenda.

“PROPRIETÀ” DELLO STATO
C’è da meravigliarsi che in nome della fluidità sia oggi proprio la “patria potestà” dei “genitori naturali” ad essere messa in crisi? Laddove questa potestà viene misconosciuta, i figli diventano “proprietà” dello Stato, che può disporre liberamente delle loro vite, numeri prima che persone (ognuna diversa dall’altra), tutte uguali e valutate solo per la loro funzionalità al sistema. Un po’ come avveniva nell’antica Sparta, il prototipo di tutte le “società organiche” che la storia ha conosciuto e che le “società aperte” dell’Occidente liberale credevamo si fossero messe alle spalle. E un po’ come avveniva nella biopolitica hitleriana, che avevamo considerato l’antitesi di questa società e che sulla selezione dei più adatti aveva fondato la sua ideologia criminogena. Un esempio preclaro, come dicono gli studiosi, di come la biopolitica possa risolversi in una tanatopolitica.

C’è poi anche un dato economico che si affaccia nella vicenda, rendendola ancor più inquietante: e se lo Stato avesse ritenuto che sopportare le spese di assistenza per la piccola non fosse conveniente per una sanità pubblica sempre più sacrificata? Ci si rende conto del crinale pericoloso su ci si è messi? Ci sarà un domani un algoritmo che, in nome di un “benessere” utilitaristicamente inteso, deciderà per noi (si dirà “scientificamente” e “oggettivamente”) chi ha diritto a vivere e chi no?

Si dirà che i giudici inglesi non hanno fatto che rispettare le leggi del Regno, quasi come questo fosse un’attenuante. Le leggi sono certo la quintessenza di ogni Stato di diritto, ma sono fatte per l’uomo e non viceversa. Che poi qualcuno possa arrogarsi il diritto per altri di stabilire cosa sia “benessere”, quasi come se la qualità della vita possa essere misurabile con gli strumenti e i parametri della Scienza, mostra la povertà intellettuale e filosofica, umanistica in senso lato, dei nostri tempi.

Una data epocale, dicevamo. Ma epocale anche per la reazione che è mancata nell’opinione pubblica e forse persino nella Chiesa. Certo, le parole del Santo Padre sono state inequivocabili nella difesa della piccola Indi, ma l’impressione che si è avuta è che, al contrario delle altre volte, sia stato proprio il corpaccione della Chiesa di Roma a non aver risposto. Paura di mettersi contro lo “spirito dei tempi”? Rassegnazione? Inconsapevolezza dei valori “indisponibili” in gioco nella vicenda? Perché non far sentire forte la propria voce e scendere in piazza per una battaglia cristiana in senso lato, cioè di civiltà? Se non ora, quando?

DIRITTO COSTITUZIONALE
In cotanto “deserto spirituale”, un’eccezione è rappresentata dalla reazione del governo italiano, che non ha esitato a tentare l’impossibile per salvare la vita di Indi. Ed oserei dire della stragrande maggioranza di un popolo come il nostro, che avrà pure tanti difetti ma che forse, fra la vita e la morte, sa ancora cosa scegliere. Perché allora non provare a scrivere, nero su bianco, nella Carta costituzionale della nostra Repubblica quello che pure dovrebbe essere pacifico, e cioè che l’Italia difende e promuove il “diritto alla vita” di ognuno? Sarebbe forse il modo migliore per onorare la memoria della piccola Indi, per non rendere vano il suo sacrificio. Quanto alla sua anima, ad essa ci pensa da ieri il buon Dio!

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