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Juanita Castro, no a Fidel e sì alla Cia: la storia della sorella del dittatore

Carlo Nicolato
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«Ci ha preceduto nel cammino della vita e della morte Juanita Castro, una donna eccezionale, una combattente instancabile per la causa della sua Cuba che amò tanto». È con queste parole che l’amica giornalista María Antonieta Collins, coautrice del libro “Fidel y Raúl, mis hermanos. La historia secreta”, ha annunciato la morte a 90 anni della discussa sorella dei dittatori di Cuba. Ed è con quel libro pubblicato 14 anni fa a Miami che Juanita aveva raccontato di aver accettato di collaborare con la Cia poco dopo il fallimento americano dell’invasione di Bahía de Cochinos nel 1961. All’inizio Juanita si era schierata con i due fratelli maggiori nel tentativo di far cadere il dittatore Fulgencio Batista, si occupava di recuperare fondi e armi. Ma perse velocemente ogni illusione dopo che il fratello Fidel, conquistato il potere, aveva velocemente trasformato Cuba in una dittatura cancellando e perseguendo ogni oppositore.

Tra quelli c’era anche lei, Juanita, convinta anticomunista, diventata velocemente il punto di riferimento segreto degli antirivoluzionari. Nel suo libro racconta che Fidel l’aveva avvisata più volte di non mettersi con i “gusanos” ed era arrivato al punto di minacciarla, anche se con lei usava cortesie che gli altri oppositori si sognavano. In questo periodo si mise contro Che Guevara che aveva accusato di aver mandato al “paredon”, cioè alla fucilazione, decine di innocenti. L’odio era reciproco e successivamente Juanita disse che il Che «fu il peggio che potesse succedere a Cuba», colui che di fatto aveva trasformato l’isola nel peggior regime comunista esistente. Fu la moglie dell’ambasciatore brasiliano a Cuba in un viaggio a Città del Messico a convincerla ad incontrare un agente della Cia.

 

 

Era il 1961, Juanita disse che non voleva soldi, né violenza contro i suoi fratelli o altri, ma accettò, facendosi latore di messaggi, documenti e soldi nascosti in lattine per gli alimenti. La Cia comunicava con lei tramite la radio: a seconda delle canzoni che mettevano lei capiva se c’erano messaggi e chi avrebbe dovuto contattare. Rimase a Cuba fino al 1964 anche grazie alla protezione della madre contro cui Fidel non osava alzare un dito. «Tutto si complicò pericolosamente dopo la sua morte», scrive Juanita nel suo libro, fino a che non riuscì a fuggire in Messico grazie a un visto procuratole dal fratello Raul mentre Fidel non era sull’isola. Raul fu molto convincente, per spingerla a partire le mostrò un dossier segreto che conteneva tutte le sue attività cospirative nell’Azione Cattolica Cubana di cui il fratello dittatore non era ancora a conoscenza. «Non posso più rimanere indifferente a ciò che sta accadendo nel mio Paese. I miei fratelli Fidel e Raul l’hanno trasformata in un’enorme prigione circondata dall’acqua. Il popolo è inchiodato su una croce di tormento imposta dal comunismo internazionale» disse lapidaria alla sua prima apparizione pubblica da esule. Ma quando l’anno dopo arrivò a Miami la comunità cubana locale temeva in realtà si trattasse di una spia per conto dei fratelli. «Per quelli di Cuba sono una disertrice perché me ne sono andata e ho denunciato l’attuale regime. Per molti a Miami sono una persona non grata perché sono la sorella di Fidel e Raúl», scrisse nel suo libro. Ma bastò la costituzione di una società che lavorava contro il regime comunista dei fratelli per conto della Cia a convincere gli esuli delle sue buone intenzioni.

 

 

A Miami aprì una farmacia, nella zona della Pequeña Habana, e nel 1984 divenne cittadina americana a tutti gli effetti. La sua vita proseguì così da farmacista e fervente anticomunista ma, stando a chi la conosceva bene, Juanita evitava di parlare dei suoi fratelli, in particolare nelle relazioni con i suoi compatrioti. Ciò non toglie che la malattia di Fidel e la sua successiva morte nel 2016 le diede un profondo dolore. «Mentre le persone manifestano e celebrano, io sono triste» disse in una mesta dichiarazione alla stampa. «Rispetto le posizioni di tutti coloro che sono contenti per i problemi di salute dei miei fratelli, però anche loro devono rispettare la mia. È la mia famiglia. Sono i miei fratelli. Non importa. Così è, anche se siamo separati per ragioni politiche e ideologiche».

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