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Usa, la crisi e l'inizio di una nuova epoca

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Roberto Formigoni
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È arrivato il momento di usare una parola forte per indicare la situazione degli Stati Uniti: crisi, crisi profonda. Certo, l’America continua a essere il Paese egemone, il più impegnato nelle crisi mondiali, sostiene senza riserve la piccola Ucraina contro la superpotenza russa, aiuta Israele ma spingendola alla moderazione, è il Paese più ricco e la sua economia cresce...

Eppure i più acuti analisti sottolineano i cambiamenti profondi intervenuti nell’anima americana (e Limes vi ha dedicato un ampio studio). I cittadini americani sono sempre più restii a sostenere i costi crescenti per difendere l’egemonia, contestano gli interventi militari all’estero, pretendono limiti al sostegno agli alleati. Sono profondamente disillusi dai risultati ottenuti in trent’anni di impegno globale nel mondo.

 

 

L’egemonia post guerra fredda è costata moltissimo, ma non ha avvicinato il mondo, i Paesi aiutati nel loro sviluppo, agli Usa, anzi, il sentimento anti-americano è più forte che mai. In patria la crisi sociale, con il suo carico di sofferenze, aumenta: criminalità crescente, speranza di vita in calo, epidemie da oppioidi, depressione giovanile, qualità dell’istruzione in picchiata. Anche la globalizzazione segna un bilancio nettamente negativo: la manifattura nazionale è crollata, e con lei la classe media, ulteriormente colpita dall’inflazione.

Paradossalmente, come ho ricordato sopra, i dati macroeconomici sono positivi, ma evidentemente per i cittadini i nuovi lavori che hanno sostituito quelli tradizionali non offrono le stesse soddisfazioni e la stessa sicurezza di quelli perduti. È l’anima americana che appare smarrita, quel sentimento positivo alimentato dalla convinzione che c’è la libertà di perseguire la felicità, che il successo non può mancare. Politicamente il Paese è spaccato come non mai, la polarizzazione democratici-repubblicani assume sempre più spesso la forma di un odio reciproco, una delegittimazione senza confini e senza rimedi.

 

 

Raggiungere un compromesso e far funzionare il Paese è sempre più difficile. Piuttosto che salvare lo speaker repubblicano e accettare una almeno delle sue innumerevoli proposte, i democratici alla Camera hanno preferito farlo cadere e bloccare il rinnovo della fornitura di armi all’Ucraina. Dietro tutto ciò si manifesta una crisi della coesione sociale e una crisi culturale, della coscienza civica. L’America non è più una. Continua a presentare tratti comuni ma i cittadini si riconoscono sempre meno simili, il popolo appare dividersi in tribù incomunicanti. È la fine dell’America? No, ma l’inizio di una nuova epoca. E questo interessa (profondamente!) anche noi. Dovremo riparlarne. 

 

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