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Houthi, la succursale yemenita del jihadismo iraniano

Maurizio Stefanini
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«Dio è sommo, morte all'America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l'Islam» è scritto in verde e rosso su sfondo bianco nella bandiera degli Huthi (o Houthi: entrambe le translitterazioni sono in uso). Uno slogan particolarmente truce e che riprende quelli dei Pasdaran iraniani, dal momento che gli Huthi yemeniti sono parte di una sorta di “internazionale sciita” costruita dal regime degli ayatollah assieme a Hezbollah libanese e a gruppi sciiti iracheni e afghani.

Sono però in una sorta di “cerchio intermedio”, dopo quello dei gruppi citati, ma superiori a un terzo anello di alleati di Teheran, quelli che sciiti non sono ma condividono l’avversione per Usa e/o Israele: Hamas, Corea del Nord, Venezuela, Cuba, Nicaragua, ormai anche Russia e Cina.

 

Gli sciiti, secondo cui alla guida dell’islam dovrebbe esserci un discendente di Maometto e del suo genero Ali, per divergenze sulla successione si distinguono in sei gruppi diversi. Uno, ad esempio, è quello che considera erede di Maometto l’Aga Khan. Lo sciismo “duodecimano” iraniano segue una diversa linea di successione il cui dodicesimo esponente scomparve misteriosamente: perla fede degli ayatollah, se ne sta nascosto nell’attesa di venire a stabilire il suo regno sulla terra.

Lo zaidismo yemenita aveva una sua differente linea di successione, con alla testa una dinastia di Imam che regnarono sul Paese dall’897 al 1962, pur su una popolazione in maggioranza sunnita. Finché un golpe di militari nasseriani appoggiati dall’Egitto proclamò la repubblica appoggiata dalla maggioranza sunnita.

Nel 1990 la repubblica assorbì lo Yemen del Sud: fino al 1967 colonia britannica, e poi regime comunista. Nel 2012 l’uomo forte Ali Abd Allah Saleh, al potere dal 1978, fu spazzato via dalla variante locale delle Primavere Arabe. Come in Libia, però, anche qui ne è seguita, dal 2014, una guerra civile che ha frantumato il Paese. Accanto a una piccola area del centro in mano ad al-Qaeda c’è il Sud in mano a un Consiglio di Transizione che vuole ripristinare l’indipendenza; l’Est in mano al governo del maresciallo Abd Rabbih Mansur Hadi, appoggiato da Usa, Ue e Arabia Saudita; a ovest e nella capitale Sana’a appunto gli Huthi zaiditi. Ufficialmente autodefinitisi Sostenitori di Dio, “Ansar Allah”, erano in origine un movimento politico moderato, parte della opposizione a Saleh. 

 

Ma nel 2004 l’esercito uccise il suo leader Hussein al-Huthi. Oltre a far ribattezzare il movimento con il nome del capo defunto, l’evento portò a una radicalizzazione: anche per i crescenti contatti con Iran e Hezbollah, che finirono per dare una patente di legittimità a quegli sciiti “differenti”. Come Hezbollah e milizie iraniane, anche gli Huthi hanno mandato combattenti in Siria a sostenere Assad, Nel contempo, gli iraniani li hanno imbottiti di missili e armi anche di provenienza cinese e nord-coreana per sostenere una guerra in cui anche l’Arabia Saudita è intervenuta pesantemente e che in un decennio ha fatto 17.000 morti, 40.000 feriti. oltre 3 milioni di sfollati; e anche una emergenza umanitaria tra le più gravi del mondo. Dai 3000 combattenti che avevano nel 2005 e 10.000 del 2009 adesso sarebbero arrivati a 120.000. E da particolarità locale si è inserito in un gioco più globale, con l’attacco di Hamas che il 7 ottobre è intervenuto a distrarre l’attenzione globale dalla guerra in Ucraina e con gli Huthi che ora a sostegno di Hamas riutilizzano il know how ricevuto dall’Iran - in particolare missili, motovedette e mine navali contro il traffico navale internazionale.

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