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Joe Biden, conti e politica estera: il fallimento del presidente Usa

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Corrado Ocone
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Donald Trump vince alla grande le primarie nello Iowa ed è di gran lunga il più forte candidato repubblicano alle elezioni presidenziali del novembre prossimo. Basterebbe questo “fermo immagine” per poter dire che la presidenza democratica di Joe Biden ha fallito in quello che era il suo obiettivo politico principale: la restaurazione del vecchio sistema di potere, di una “normalità” che, a suo dire, l’irruzione di Trump sulla scena politica statunitense aveva spezzato. In questo preciso senso, ha perfettamente ragione Stefano Graziosi nel definire Biden “il presidente reazionario”. Lo fa proprio all’inizio di un illuminante pamphlet che esce in questi giorni per l’editore Ares: Joe Biden.

Tutti i guai del Presidente. «Biden presentò sé stesso – scrive l’autore – come colui che avrebbe riportato gli Stati Uniti sui retti binari, derubricando la figura del predecessore a una parentesi passeggera, a un errore di percorso della storia americana». È chiaro che, così impostato il problema, Biden, come buona parte dell’elitè democratica, si precludesse un’analisi seria, e cioè politica, di un fenomeno, quale quello del trumpismo, che non può essere giudicato come un incidente e che non a caso riemerge in questi giorni con rinnovata forza e vigore. Il tycoon prestato alla politica ha infatti inteso parlare al forgotten man, cioè a coloro che la globalizzazione aveva schiacciato minandone il tenore di vita e quelle speranze future che non sono altro che “il sogno americano”.

 



«Derubricare i suoi sostenitori a ‘semifascisti’ (come fatto da Biden ad agosto 2022) o a “deplorevoli” (come fatto da Hillary Clinton nel settembre 2016) significa non porsi il problema delle cause strutturali dell’ascesa politico-elettorale dello stesso Trump. D’altronde, è un dato di fatto che, con lui, il Partito repubblicano tornò a crescere sia tra la working class sia tra le minoranze etniche». Biden conquistò la leadership per vari motivi: seppe approfittare di una gestione economica e sociale del Covid indecisa e ambigua da parte di Trump (almeno così fu percepita); fu bravo a fare promesse, ovviamente non mantenute, a tutte le anime di un Partito democratico sempre più “balcanizzato”, come lo definisce Graziosi, a cominciare da quelle fatte alle ali diversamente radicali ed estremiste di una Ocasio-Cortez, da una parte, e di Bernie Sanders, dall’altra; ebbe dalla sua i grandi media, che, per quanto odiati dall’americano medio che giustamente ne diffida, servono comunque a creare un clima di opinione. Ancora più fallimentare è stato poi il bilancio della politica internazionale di Biden, la quale ha in ultima analisi favorito il proliferare di conflitti in ogni parte del mondo, permettendo anche il coalizzarsi in funzione anti-americana e anti-occidentale di Stati e potenze regionali pur molto diversi fra loro.

Ciò che è venuto meno, sia per il frettoloso disimpegno in Afghanistan sia per l’irresolutezza del Presidente, è quello elemento della “deterrenza” su cui si era fondato il dominio americano nel mondo. È come se i nemici dell’Occidente, a cominciare dalla Russia di Putin e dai terroristi di Hamas, si fossero sentiti pronti per sferrare un colpo decisivo a un avversario visto come debole e soprattutto senza più la volontà di interessarsi alle cose del mondo e impegnarsi in prima persona. Il modo goffo in cui Biden ha poi cercato di correggere la rotta non ha fatto che aumentare la confusione. Graziosi mostra anche, in un intero capitolo, come l’amministrazione Biden abbia fatto proprio quello che ha imputato alla precedente presidenza di Trump, cioè di aver politicizzato le istituzioni.

Ciò che è stato messo in discussione, ad esempio favorendo con leggi ad hoc l’indottrinamento liberal nelle scuole, è proprio quella terzietà che le istituzioni americane hanno da sempre rivendicato rispetto alla politica. Tanto che oggi è in crisi il più sacro dei principi costituzionali, quel free spech solennemente sancito dal primo emendamento. In un altro capitolo Graziosi ricostruisce “lo strano caso di Hunter Biden”, il figlio del Presidente in carica incriminato per affari illeciti, evasione fiscale e conflitti di interessi di vario genere. La “stranezza” del caso sta nel fatto che le vicende che concernono Hunter e soprattutto quanto il padre ne sapesse, sono state abilmente nascoste sia dall’intelligence sia da piattaforme social come il Twitter precedente alla gestione di Elon Musk. Con un Biden così azzoppato e un Trump ringalluzzito, cosa succederà ora? È la domanda che, in conclusione, Graziosi non può non farsi. Ci sarà di nuovo uno scontro diretto fra i due protagonisti del precedente match elettorale, o il perdente di allora sarà reso incandidabile per via legale? E se Biden fosse costretto ad abbandonare il campo dai suoi, reggerebbe il Partito democratico? Le incognite sono davvero tante, ma è evidente che il destino dell’America riguarda tutti noi, non solo gli americani. Ed è altrettanto evidente che su Biden e Trump quello che appare sui media mainstream è solo una parte, e nemmeno la più rilevante della realtà. 

 

 

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