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Valdis Dombrovskis, il lèttone con il ditino alzato campione di fallimenti

Carlo Nicolato
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Il lettone Valdis Dombrovskis è una vecchia conoscenza italiana. Vicepresidente della Commissione dal 2014, nonché attuale commissario per il Commercio, il suo vero ruolo da qualche anno sembra in realtà quello di controllore dei conti a rischio con delega alla minaccia. I suoi interventi con il ditino alzato e uno sguardo di gravosa sufficienza verso il nostro Paese sono un appuntamento annuale da almeno il 2018, quando per la prima volta ha sostenuto che l’Italia dovrebbe continuare a ridurre il debito se non vuole fare la fine della Grecia. Ai tempi si parlava anche di possibili procedure di infrazione, mentre l’anno successivo Dombrovskis sosteneva di essere ancora preoccupato del fatto che il debito italiano stentasse a calare «a causa dei piani economici deboli del governo» e in generale per il mancato slancio delle riforme. Nemmeno con l’arrivo del Covid, di Draghi e della guerra in Ucraina il lettone si è dato una calmata, impegnandosi personalmente a valutare di sei mesi in sei mesi lo status di «sorvegliato speciale» del Belpaese. Figuriamoci adesso che al governo c’è la destra: «L’Italia non è in linea con le raccomandazioni europee», ha detto ieri, «chiediamo al governo deviazioni sulla manovra». Insomma la solita solfa.

 


Nato a Riga da genitori polacchi nel 1971, quando il suo Paese faceva ancora parte dell’Unione Sovietica, Dombrovskis è entrato al Parlamento europeo nel 2004, l’anno stesso in cui la Lettonia è entrata a sua volta nell’Unione Europea. All’Europarlamento Valdis ha subito fatto parte di varie delegazioni e comitati di carattere economico e spedito in giro per il mondo, in particolare nelle repubbliche ex sovietiche, ma nel suo piccolo Paese era già conosciuto per ben altri meriti. Dal 2002 al 2004 infatti è stato ministro delle Finanze e in quanto tale promotore della prima austerity. I frutti di tale lavoro li ha in realtà raccolti nel 2009 quando è stato nominato premier. «La Lettonia è sull’orlo della bancarotta» disse all’inizio del suo mandato perché si capisse subito di che pasta fosse fatto. La seconda durissima austerity arrivò di conseguenza, severa e senza sconti.

 

 

La gloriosa carriera di falco tuttavia si interruppe improvvisamente nel 2013 con il crollo del tetto di un supermercato che causò la morte di 53 concittadini e che i giornali sospettarono fosse dovuto alle mancate ispezioni dovute ai tagli. Dombrovskis dunque diede le dimissioni e tornò al Parlamento europeo, rieletto tra le file del partito Unità, in seno al Ppe. A Bruxelles lo attendevano a braccia aperte, è quella la sua sede naturale, la piazza che lo sa apprezzare meglio per le sue rigorose doti tanto utili alla causa. Il Ppe lo mette addirittura sul piatto di portata come possibile presidente delle due istituzioni, ma alla fine quella del Consiglio se l’assicurerà il polacco Tusk, mentre la seconda spetterà a un politico di maggior esperienza ma che è tutto il suo contrario, Jean-Claude Juncker.  Quest’ultimo ne fa il suo vice affidandogli la delega per l’Euro e il dialogo sociale.

 

Due anni dopo, con l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa diventa Commissario europeo per la stabilità finanziaria, i servizi finanziari e il mercato unico dei capitali. Insomma diventa uno dei ministri più importanti della baracca, uno che Paesi come l’Italia, la Grecia e la Spagna hanno iniziato giustamente a guardare con sospetto. Di lui a palazzo Berlaymont apprezzano in particolare la riservatezza e la dedizione alla causa, tanto che viene considerato uno dei politici europei con il più basso tasso di sovranismo. Si dice che Dombrovskis faccia campagna elettorale con powerpoint e governi con i numeri, ma ciò tuttavia non gli impedisce di farsi valere anche come politico puro e di essere una delle figure più influenti all’interno del Ppe.

 


La successiva Commissione sotto la guida di Ursula Von Der Leyen lo riconferma dunque vice, con delega esecutiva per un’Europa al servizio delle persone, quindi Commissario per i Servizi Finanziari e poi al Commercio. Il 2024 tuttavia per Dombrovskis si profila ricco di insidie. Il suo obiettivo dichiarato è quello di rimanere al suo posto come factotum dell’economia, del commercio e della finanza europea, ma a quanto pare deve fare i conti con un contendente inaspettato, il concittadino, ex ministro dell’Economia ed ex primo ministro, Krisjanis Karins membro in aggiunta dello stesso partito, Unità. Insomma la sua controfigura con una caratura più internazionale, dal momento che è nato negli Usa, nel Delaware, e parla perfettamente inglese americano con accento east coast.

 

 

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