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Cuba come la Cina, lavoratori come schiavi: l'esperimento comunista è fallito

Maurizio Stefanini
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Il governo cubano accusato dall’Onu di imporre una delle forme di schiavitù moderna, come hanno segnalato i Relatori Speciali sulla tratta e la schiavitù degli esseri umani lo scorso novembre. Il problema è il famoso “affitto” di medici all’estero che per il regime rappresenta ormai la principale fonte di valuta, dal momento che si intasca la gran parte del compenso.

Il 2 gennaio l’Onu ha reso pubblica una lettera di due mesi prima. «Desidero attirare l'attenzione del Governo di Sua Eccellenza sulle ulteriori informazioni che ho ricevuto in relazione ad una precedente comunicazione (CUB 6/2019) del 6 novembre 2019 riguardante la situazione di presunte violazioni dei diritti umani subite da parte del personale medico e altri professionisti cubani che partecipano alle ‘missioni di internazionalizzazione’. Molte delle preoccupazioni evidenziate nella comunicazione precedente persistono».

 

 

Si citavano poi frasi specifiche estratte dalla legislazione cubana per inferire che «i lavoratori assunti spesso non hanno informazioni precise sulla destinazione e sul luogo di lavoro (ad esempio un ospedale) finché non arrivano nel Paese di destinazione. Una volta all'estero, le persone assunte devono rispettare la legislazione cubana e, tra gli altri obblighi, informare il proprio superiore immediato di una relazione con una persona cubana o straniera. Inoltre, qualsiasi visita a parenti o amici nella città in cui un lavoratore cubano presta servizi, o l'intenzione di sposarsi nel paese in cui prestano servizi, dovrà essere annunciata al diretto superiore. Altre accuse ricevute si riferiscono alla sorveglianza permanente da parte di funzionari cubani e altri lavoratori; l'imposizione di questioni personali e politiche ai professionisti; non poter guidare, uscire di casa dopo determinati orari; non poter ricevere visite di familiari o amici né pernottare fuori dal posto assegnato senza preventiva autorizzazione.

 

 

Di conseguenza, i lavoratori sarebbero soggetti a restrizioni di movimento nei paesi di destinazione, anche durante i giorni liberi. Inoltre i lavoratori non potrebbero scegliere liberamente il luogo delle vacanze». Su tutto, «l’articolo 176 del Codice Penale cubano prevede pene detentive di otto anni per i professionisti che abbandonano il loro lavoro o non ritornano a Cuba dopo aver completato una missione di lavoro. Esiste un divieto di fatto per i genitori che hanno rescisso un contratto civile all’estero di ricongiungersi con i propri figli o figlie, a volte fino a otto anni». Cosa che è in pesante contraddizione con tutti gli standard internazionali. Il governo cubano doveva rispondere entro 60 giorni: ha risposto dopo 80, dicendo solo che «le azioni del Governo cubano sono legittime» in base all’«articolo 16 della Costituzione», e che «il rapporto di lavoro legale, come atto giuridico, si configura e sancito in base al principio di volontarietà delle parti». Solo che il 75% delle 1402 dichiarazioni giurate rilasciate alla ong Prisoners Defenders da gente che ci era passata assicurano che «non erano volontari», il 33% di loro non aveva mai ricevuto un contratto e un altro 35% non aveva mai ricevuto una copia del contratto firmato prima dipartire. 

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