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Migranti, Le Pen-Italia: Macron in crisi nera

Mauro Zanon
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Giovedì scorso, il Consiglio costituzionale francese ha bocciato ampiamente la legge sull’immigrazione votata a dicembre in un clima di grande tensione, cancellando le misure più restrittive che erano state imposte ai macronisti, privi di maggioranza assoluta all’Assemblea nazionale, dalla destra gollista (Républicains), e che avevano l’appoggio della destra sovranista (Rassemblement national). I nove “Saggi” hanno censurato totalmente o parzialmente oltre un terzo degli articoli, trentasette su ottantasei. Fra gli articoli censurati figurano l’inasprimento delle condizioni di accesso alle prestazioni sociali per i non-europei e il giro di vite sui ricongiungimenti familiari: misure di “preferenza nazionale” che avevano fatto esultare Marine Le Pen e il suo Rassemblement national (a dicembre, subito dopo la votazione, parlarono giustamente di “vittoria ideologica”), ora cestinate. Accanto a queste disposizioni, sono stati bocciati anche gli articoli sulla fine dell’automaticità dello ius soli per i bambini nati da genitori stranieri in Francia e l’introduzione del reato di “soggiorno irregolare”. Insomma, tutti quegli articoli che lasciavano immaginare un cambio di passo in materia di gestione di flussi migratori, che la destra era riuscita a far inserire nel progetto di legge come conditio sine qua non per approvarlo.

 

 

C’era da aspettarselo? Sì, tenuto conto che il presidente del Consiglio costituzionale è l’ex premier socialista Laurent Fabius. “Le misure essenziali di questa legge immigrazione sono state censurate da parte del Consiglio costituzionale. È un fallimento per la Francia, un hold-up democratico. Denuncio la complicità di Emmanuel Macron e Laurent Fabius nell’ostacolare la volontà dei francesi che è quella di ridurre l’immigrazione”, ha reagito il presidente dei Républicains, Éric Ciotti. “Il Consiglio costituzionale censura le misure di fermezza maggiormente condivise dai francesi: la legge sull’immigrazione è nata morta. L’unica soluzione è il referendum sull’immigrazione”, ha scritto su X Jordan Bardella, presidente del Rassemblement national. Il ministro dell’Interno e promotore della legge, Gérald Darmanin, ha manifestato invece la sua soddisfazione per la sentenza del Consiglio costituzionale, che ha “convalidato l’integralità del testo del governo”.

 

 

Ma la realtà è un’altra. Il testo finale, che non cambierà nulla in materia migratoria, è infatti il simbolo del fallimento del “petit Sarkozy” che è Darmanin. Lui stesso, del resto, aveva parlato proprio di “fallimento” in diretta su Tf1, subito dopo la mozione di rigetto presentata dai Verdi e votata a sorpresa dai gollisti e dai lepenisti, presentandosi all’Eliseo con le dimissioni in mano (respinte dal presidente Macron). E pochi giorni dopo, si era ritrovato a ingoiare il rospo di una legge sull’immigrazione inasprita dai suoi ex compagni di partito (che non perdono occasione per ridicolizzarlo: “Quest’estate voleva essere presidente della Repubblica, in autunno voleva sostituire il primo ministro”, ha ironizzato Ciotti) e dai lepenisti, finendo per essere “salvato” da un barone del socialismo come Fabius ed essere costretto a ringraziarlo.

 

 

Lo scorso 4 gennaio, persino la Corte dei conti francese ha bacchettato il governo per l’aumento incessante del numero di immigrati irregolari e di Oqtf (decreti di espulsione) rimasti inevasi. E accanto alle cifre dell’organismo presieduto dall’ex commissario europeo Pierre Moscovici, ci sono proprio quelle dei funzionari del ministero dell’Interno a svelare l’inefficacia della politica di Darmanin: nel 2023, Parigi ha infatti rilasciato un numero record di titoli di soggiorno, 323.260, in rialzo dell’1,4 per cento rispetto al 2022. Altro che giro di vite. Come sottolineato da molti osservatori, il problema dell’immigrazione in Francia è aggravato anche dalle pessime relazioni che Parigi ha oggi con i Paesi del Maghreb, e in particolare con l’Algeria e la Tunisia. Lì dove si è inserito il premier italiano Giorgia Meloni, il cui attivismo africano, confermato dal “Piano Mattei” presentato lunedì al Senato in presenza di venticinque capi di Stato e di governo africani, suscita all’Eliseo fastidiosi mal di testa.

 

 

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