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Omicidio Attanasio, Hamas e caso-Albanese: altre tre prove che l'Onu va chiusa

 Francesca Albanese

Carlo Nicolato
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L’utilità pratica dell’Onu è pari a zero, basti d’esempio quanto ha contato nelle ultime guerre del secolo, Ucraina e Gaza comprese. Se a questo aggiungiamo gli scandali che l’hanno coinvolta, dalle tangenti agli abusi sessuali, fino ai silenzi sul Covid e alle infiltrazioni dei terroristi di Hamas, verrebbe proprio da dire che il baraccone nato nel dopoguerra per prevenire i conflitti ha clamorosamente fallito la sua missione e andrebbe chiuso per sempre. Tanto più che le vergogne che lo riguardano, piccole o grandi che siano, continuano a ripetersi ciclicamente, sfacciate e impunite, come l’ultima, cronologicamente parlando, che riguarda gli assassini in Congo dell’ambasciatore Luca Attanasio, del carabiniere Vittorio Iacovacci, e dell’autista Mustapha Milambo. Per loro non ci sarà giustizia, gli imputati accusati di aver con la loro condotta causato la morte dell’ambasciatore e dei suoi collaboratori non sono perseguibili in quanto «dipendenti delle Nazioni Unite».

I giudici per l’udienza preliminare hanno infatti riconosciuto l’immunità funzionale a Rocco Leone, funzionario del World Food Programme, e al suo collega Mansour Rwagaza, accusati di aver falsificato i documenti di viaggio della missione nell’est del Paese, facendo sì che questa potesse andare avanti senza scorta armata e una protezione rafforzata. Sembra che la decisione sia arrivata dopo una memoria che il direttore degli Affari Giuridici del Ministero degli Esteri ha depositato su pressione delle Nazioni Unite che fin dall’inizio della vicenda hanno protestato contro l’operato della Procura sostenendo l’immunità per i due dipendenti.

In aggiunta l’Onu si è rifiutata di costituirsi parte civile contro i due accusati, uno dei quali, il congolese, si è perfino dato alla macchia, ma lo ha fatto contro i sei presunti esecutori materiali dell’agguato che avrebbero cercato di rapire l’ambasciatore a scopo di estorsione.

Tale sentenza arriva dopo che in queste settimane le Nazioni Unite sono state coinvolte nello scandalo dei dipendenti dell’Unrwa, alcuni dei quali hanno partecipato all’attacco del 7 ottobre, e dopo la contestatissima sentenza anti-Israele della Corte dell’Aja, che è il principale organo giudiziario dell’Onu stessa. Come se non bastasse in queste ore il Sudafrica, che è il principale accusatore di Israele in tale processo, ha chiesto alla Corte di valutare se la decisione di Israele di estendere le operazioni militari a Rafah non sia un buon motivo per intervenire al fine di «prevenire ulteriori violazioni dei diritti dei palestinesi».

 

DAGLI A ISRAELE!
Insomma secondo Pretoria l’attacco a Rafah violerebbe il dispositivo del tribunale dell’Aja di un paio di settimane fa secondo cui Israele deve prendere tutte le misure in suo potere per prevenire un genocidio. Va aggiunto che secondo la sentenza tra pochi giorni dovrebbe scadere il termine generico fissato entro il quale il governo israeliano dovrebbe riferire alla Corte su cosa sta facendo per rispettare l’ordine. Il Sudafrica ha affermato che chiederà alla Corte che la questione venga affrontata con la massima urgenza «alla luce del bilancio quotidiano delle vittime a Gaza». Il terzo insulto dell’Onu alla sua stessa esistenza arriva invece da Harvard e riguarda sempre il conflitto in Medio Oriente. 

Al Carr Center of Human Right Policy della prestigiosa università bostoniana ieri notte si è tenuto un seminario on line sulla situazione a Gaza, ospite d’eccezione l’italiana Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite e nemica giurata di Israele. Per raccontare la tragedia dei rifugiati nonché dei migranti palestinesi, Harvard, già al centro di polemiche per le posizioni antisemite e a favore di Hamas che hanno tra le altre cose costretto la presidente Claudine Gay a dimettersi, ha pensato bene di invitare l’Albanese che una voltà di più ha avuto modo di sottolineare la sua tesi secondo cui «le vittime del 7 ottobre non sono state uccise a causa del loro giudaismo, ma in risposta all’oppressione di Israele». Commentando tali affermazioni il ministro degli Interni israeliano Moshe Arbel aveva detto che se l’Onu vuole tornare a essere un organismo rilevante deve sconfessare pubblicamente le parole dell’Albanese e licenziarla in tronco. Cosa che ovviamente non è successa. L’Onu dunque è rimasto quello che è, un organismo inutile, corrotto e di parte. E per tali motivi va chiuso.

 

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