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Cina, gli 007 bocciano la Via della Seta: "Finalità di controllo politico"

Fausto Carioti
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Ora si capisce bene, grazie alla relazione annuale presentata ieri dai vertici dei servizi e da ciò che hanno detto nell’occasione Alfredo Mantovano ed Elisabetta Belloni, quanto sia stata pericolosa per gli interessi italiani l’iniziativa «Belt and Road», l’accordo per la «nuova Via della Seta» firmato col presidente cinese Xi Jinping da Luigi Di Maio. Era il 23 marzo del 2019, nel mezzo del primo governo di Giuseppe Conte, e l’allora vicepremier annunciava che «con la Belt and Road Initiative l’Italia ha deciso di essere più sovrana». Agli alleati internazionali e di governo assicurava che quella non era «un’intesa politica con la Cina, ma un’opportunità commerciale».

L’accordo sarebbe stato prorogato per altri cinque anni se il governo Meloni, alla fine del 2023, non avesse sfruttato la clausola che gli consentiva di interromperlo unilateralmente. Attirandosi così le ire di Conte. «Mi sembra che Pechino non abbia fornito armi e che anzi si sia offerta di giocare un ruolo per contribuire ad un negoziato di pace» in Ucraina, ha detto il leader dei Cinque Stelle in difesa di quel memorandum e dei suoi amici cinesi.

IL GIOGO DI PECHINO - La ricostruzione fatta dai vertici dei nostri servizi, però, è molto diversa dal quadro idilliaco dipinto dai due ex amici grillini. Senza mai citare Conte e il suo governo, i responsabili dell’intelligence smontano pezzo per pezzo la narrazione filo-cinese che era alla base di quell’intesa. La premessa di Belloni, direttore generale del Dis, il dipartimento delle informazioni per la sicurezza, è che «il tema della Cina oggi è sul tavolo di tutte le democrazie occidentali», perché «è evidente che la Cina ha trasformato l’interdipendenza economica» prodotta dalla globalizzazione «in “over-dependence”», dipendenza eccessiva dalle sue forniture. E queste «politiche economiche coercitive della Cina impongono una riflessione sulla vulnerabilità che ne consegue».

 

 

La stessa Belt and Road, avvisa Belloni, «ha finalità molteplici che non sono soltanto economiche, ma anche geo-strategiche, di controllo di Paesi, di aree di influenza e quant’altro». Averla lasciata consente ora all’Italia «di riconquistare una propria indipendenza e autonomia. Non siamo più nel mondo in cui si poteva tenere un piede in due staffe, è necessario fare scelte di campo precise e c’è la necessità di aumentare la competitività dell’Italia e dell’Unione europea nei confronti della Cina».

Mantovano, sottosegretario alla presidenza del consiglio e autorità delegata per la sicurezza, aggiunge che «dal punto di vista della sicurezza risulterebbe un po’ incoerente l’esercizio del “golden power”, quando vengono all’attenzione strumenti di alta tecnologia di provenienza cinese, e poi una sorta di via libera nei confronti della stessa tecnologia». Il “golden power” è il potere speciale che, per ragioni di sicurezza nazionale, consente all’esecutivo di sottoporre a condizioni o vietare operazioni industriali o finanziarie in settori strategici per la sicurezza nazionale e la difesa, ed è stato usato più volte da palazzo Chigi contro i tentativi d’infiltrazione della Cina.

«Il sistema va riportato a coerenza e il tema della sicurezza esige coerenza più di altri», spiega Mantovano illustrando le ragioni che hanno spinto ad uscire dalla Via della Seta.

 

 

Assieme alla Russia, con cui si sta spartendo l’Africa, la Cina è ritenuta la minaccia principale per la sicurezza nazionale ed europea, grazie anche alla sua capacità, avverte la relazione, di «raccogliere informazioni di pregio; mettere in atto azioni di pressione economica; penetrare e interferire all’interno del mondo accademico e della ricerca; condurre operazioni cibernetiche ostili con maggiore efficacia; manipolare l’informazione per finalità di propaganda».
Proprio a proposito di propaganda cinese, l’intelligence italiana fa sapere di avere «già rivolto l’attenzione verso quegli eventi che, nel prossimo futuro, saranno suscettibili di catalizzare campagne disinformative contro gli interessi nazionali». Tra questi, oltre alle elezioni europee e alla presidenza italiana del G7, c’è «la formale uscita del nostro Paese dal memorandum d’intesa sulla Belt and Road Initiative».

Il resto del volume elaborato dagli 007 e degli interventi dei loro capi sono stati dedicati ai pericoli che l’Italia dovrà affrontare in un anno in cui, ricorda Belloni, «ben settantasei Paesi del globo sono chiamati a votare: parliamo del cinquantuno per cento della popolazione mondiale e di metà del Pil del mondo», e ci si aspettano «interferenze e condizionamenti».

LA RUSSIA E I TRATTORI - I servizi segreti italiani sono in allerta anche per la minaccia «ibrida» della Russia, capace cioè di aggredire «sfruttando alcune delle caratteristiche che connotano le nostre società, quali l’apertura dei mercati e le garanzie di libertà e indipendenza dei media». Mantovano cita come esempio «il modo con cui alcuni canali social filorussi hanno provato ad accreditare l’idea, assolutamente infondata, che la protesta dei trattori derivasse dagli effetti economici del sostegno dell’Italia all’Ucraina. Un tentativo goffo, che si è risolto in un flop, ma dà l’idea della sfida». Preoccupa sempre di più, ammette il sottosegretario, l’uso dell’intelligenza artificiale e di tutti quei meccanismi «che rendono difficile distinguere il vero dal falso e che quindi si prestano a campagne di disinformazione organizzata». Si attende la lista dei propagandisti russi che agiscono in Italia, promessa da Volodymyr Zelensky. «Quando arriverà», dice Mantovano, «la esamineremo in un quadro conoscitivo già ricco e consolidato». Tra le minacce interne merita «particolare attenzione» l’attivismo anarco-insurrezionalista, che con la mobilitazione a sostegno di Alfredo Cospito si è confermato «il più concreto e insidioso vettore di minaccia».

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