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Roberto Perdigones, il militare che si sente donna poi si dichiara lesbica

Giordano Tedoldi
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Al sentire la storia che di seguito raccontiamo, verrebbe da dire che viviamo in un mondo di pazzi. Siamo a Ceuta, semi-enclave spagnola in territorio marocchino. Qui la Spagna dispiega più forze militari e di polizia che in ogni altro luogo: più di 4mila uomini e donne, e si registra un fatto che ha destato i sospetti degli attivisti LGTBI: da quando, poco più di un anno fa, è stata approvata la “Ley trans”, la legge trans che disciplina il cambiamento di genere (e permette agli uomini che diventano donne di godere di tutta una serie di diritti riservati al genere femminile), a Ceuta sono 37 gli uomini che, di fronte alla legge, sono diventati donne.

Gli attivisti non hanno dubbi: la maggior parte di loro sono “trans fraudolenti”, ovvero persone che non hanno affatto l’esigenza di vedere riconosciuto il genere nel quale si sentono a proprio agio, diverso da quello biologico, ma che, avendo ben studiato la Ley trans, hanno individuato tutti i benefici di cui possono godere nella carriera militare, nel trattamento pensionistico, e altri che vedremo esaminando il caso più eclatante di tutti: quello di Roberto Perdigones, 35 anni, caporale dell’esercito spagnolo, nato maschio, che mantiene il nome, l’aspetto e gli attributi virili, che è attratto dalle donne, ma che ha cambiato identità di genere e, dunque, legalmente è donna. Donna lesbica, dice, visto il suo orientamento sessuale.

 

 

 

Una storia apparentemente grottesca come nei film del primo Almodóvar, senonché scavando nella vita del caporale Gones, come lo chiamano gli amici, nella sua presunta pazzia c’è un metodo, e quindi siamo di fronte a una recita, a una messinscena. Perdigones, infatti, ha un figlio di 15 anni, ma, come capita, la donna con la quale lo ha messo al mondo, per sue ragioni, non vuole che lo veda, e i tribunali finora le hanno dato ragione. In quanto padre, dunque, il nostro caporale non ha chance di riannodare un rapporto con suo figlio. Intervistato da una popolare trasmissione tv spagnola, ha assicurato di aver cambiato identità di genere perché, nella nuova definizione, «si sentiva meglio», senza pensare ai vantaggi che avrebbe potuto avere. Dice che, ad esempio, per quanto riguarda i test militari, continua a sostenere quelli riservati ai maschi. Racconta anche che non entra nei gabinetti delle donne per rispetto. Insomma respinge ogni accusa di essere un “trans fraudolento”. Ma poi emerge che, sì, ora che non è più, davanti alla legge, il padre di suo figlio, ma la «madre non gestante» (essendo ovviamente la donna con cui lo ha concepito la madre biologica) sta cercando un bravo avvocato per tentare di rivedere il figlio. In altre parole: se come padre aveva perso ogni speranza di un rapporto con il minorenne (ha quindici anni), ora si ripresenta, cambiato di genere, con l’assurda ma formalmente ineccepibile qualifica di “madre non gestante” per riaprire la partita contro la ex compagna nonché madre del figlio.

 

 

 

Siamo più dalle parti delle subdole maschere di Pirandello che delle trasgressive creature di Almodóvar. La storia di Perdigones, anzi, è quel che di meno trasgressivo e di più tradizionale si possa immaginare: un padre di trentacinque anni, caporale dell’esercito, che vuole rivedere il figlio nel quadro di un conflitto con la ex compagna. Tutta la giravolta di identità di genere, i contorsionismi nell’orientamento sessuale (l’uomo che si sente donna al quale piacciono le donne e dunque è lesbica) servono semplicemente a uno scopo: che un padre estraniato dal figlio possa rivederlo. Perdigones non sarà esattamente un “trans fraudolento” come quei militari che a Ceuta, non ci sono dubbi, hanno cambiato identità di genere (e soltanto quella) per opportunismo e per accelerare la loro carriera godendo della cosiddetta “discriminazione positiva”, però, anche se ovviamente non può confessarlo e deve recitare la parte dell’intersessuale fino in fondo, ha anch’egli abusato della “legge trans” per recuperare il rapporto con il figlio.

Solo questo ha impedito, nella trasmissione in cui è stato intervistato, che gli ospiti, sconcertati e increduli rispetto alla sua versione, lo liquidassero come un impostore. Si capisce che finge, ma la sua finzione è fatta in nome di un’esigenza umana insopprimibile: un padre che vuole ritrovare suo figlio, di là dai conflitti con la madre. Una situazione, quindi, prossima all’ingiudicabile, o meglio condannabile dal punto di vista dei mezzi, meno dal punto di vista degli scopi. Di certo le questioni di genere non c’entrano nulla. 
 

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