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Michel Tournier e l'illusione della felicità nella Germania orientale

Vito Punzi
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Michel Tournier (1924-2016) è stato uno degli autori francesi più importanti della seconda metà del XX secolo. Dal suo romanzo Il re degli ontani (Garzanti 1987), per il quale nel 1970 fu insignito del prestigioso Prix Goncourt, venne tratto un film diretto dal tedesco Volker Schlöndorff, prodotto nel 1996 con il titolo L’orco. Grazie a quel libro Tournier divenne famoso in particolare in Germania, paese col quale ha avuto un rapporto speciale, visto che entrambi i genitori erano germanisti, che con loro trascorreva ogni anno le vacanze nel paese teutonico e che dopo la guerra scelse di trasferirsi a Tubinga per studiare filosofia. In seguito tradusse in francese Remarque, quello di Niente di nuovo sul fronte occidentale. Il suo tedesco parlato, tuttavia, non fu mai un granché, come lui stesso ammette in Felicità in Germania?, un libercolo pubblicato in Francia nel 2004, ora proposto in versione italiana (trad. di V. Fidomanzo, La Vita Felice 2024, p. 134, euro 12): «Sempre, per tutta la mia vita, ho sentito i miei genitori lamentarsi per il mio detestabile tedesco».

Per quanto tradotto dal francese in un italiano talvolta piuttosto precario, questa sorta di autobiografia scritta in relazione con la storia novecentesca del popolo tedesco rivela da subito i tratti di un atto d’amore dovuto verso una nazione che Tournier, con tutta la supponenza tipica di un intellettuale francese, in virtù di quanto vissuto fin da piccolo era certo di conoscere. Dopo aver ricordato che aveva già otto anni quando i nazisti conquistarono il potere, nel 1933, non ha remore nell’ostentare certezze: «Ho visto tutto, quell’anno e i seguenti, ricordo tutto, ho capito tutto».

 

 

 

All’esperienza della resa francese nel 1940 e al tempo di guerra, seguì per Tournier l’esperienza, da studente, della miseria materiale nella Germania postbellica. E in quel “tutto” da lui visto c’è spazio per un giusto tributo alle Trümmerfrauen, le donne tedesche, senza le quali non sarebbe stato possibile lo sgombero delle macerie a Berlino, Dresda, Amburgo, come in tutte le altre città rase al suolo. Con la nascita della DDR, la Germania orientale comunista (intesa come zona d’occupazione sovietica), la lettura di Tournier degli eventi, fino alla caduta del muro di Berlino, nel 1989, si fa ancora più interessante, ma anche più discutibile. Discutibile anzitutto il suo giudizio su Konrad Adenauer, da collocare, a suo parere, ad altri due “capi catastrofici” della Germania del XX secolo, Guglielmo II e, ovviamente Adolf Hitler. E per quale motivo? Secondo il francese, il cancelliere, non avendo accolto la proposta di riunificazione delle due Germanie avanzata dai sovietici nel 1952 e nel 1959, finalizzata alla creazione di uno Stato “cuscinetto” tra il sistema capitalista e quello comunista, va ritenuto responsabile dell’abbandono “alle tenebre esterne” dei tedeschi orientali. Era davvero così ingenuo, Tournier, da credere che Adenauer, nel pieno della fase di ricostruzione del suo paese, avrebbe potuto considerarsi libero di dire “no” al processo di americanizzazione della Germania Federale? No, non era un ingenuo il francese.

 

 

 

Semplicemente era un “partigiano” della Germania comunista, tanto da risultare quasi commovente la sua venerazione perla donna sportiva tedesco -orientale: «Ho quindi cercato l’avvento di una nuova Eva nella Ddr. Non una traccia di grasso, un monumento di muscoli elastici e polposi che scorrono sotto una pelle di seta». Avrebbe voluto perfino scriverci su un romanzo: Eva e la Repubblica dei corpi. Era quella la Germania nella quale immaginava possibile la felicità?

 

 

 

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