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Javier Milei, i numeri danno ragione alla sua Argentina

Maurizio Stefanini
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I sindacati gli hanno appena indetto contro il secondo sciopero generale da quando è alla Casa Rosada, sede della presidenza argentina, ma intanto Javier Milei incassa gli elogi del Fondo Monetario Internazionale che del presidente argentino è entusiasta al punto da sbloccargli altri 800 milioni di dollari di finanziamenti, e anche Bloomeberg lo loda. Un successo, che qualche commentatore giudica come un trionfo, è anche il fatto che l’inflazione sia scesa di un tasso a una cifra, ma misurato su base mensile. Parliamo di un 8,8% che corrisponde al 65% dall’inizio del 2024 e al 289,4% su base annuale. È il quarto mese di fila di rallentamento, ma resta comunque il tasso più alto del mondo, anche se il presidente si dice sicuro di arrivare al 4% al mese entro la fine dell’anno.

Secondo il Fmi, comunque, l’esecutivo argentino ha ottenuto «risultati migliori del previsto» nell’ottava revisione tecnica del programma concordato per il primo trimestre dell’anno. Ci vorrà l’approvazione formale del Consiglio di Amministrazione per dare il via libera alla prima tranche del programma di rifinanziamento del grande debito contratto dall’Argentina nel 2018, ma comunque è giudicata appunto una mera formalità, dopo il giudizio positivo di lunedì. «Tutti i criteri di performance sono stati superati», ha riferito il Fmi in una nota. «Sono state raggiunte intese sulle politiche per continuare a ridurre l’inflazione, ricostituire le riserve internazionali, sostenere la ripresa e mantenere il programma saldamente sulla buona strada». L’organizzazione ha evidenziato tra i risultati raggiunti il primo surplus fiscale trimestrale del Paese in 16 anni: 3,8 trilioni di pesos (circa 4,25 miliardi di dollari), che equivalgono allo 0,6% del Pil argentino.

 

 


Il Fmi ha inoltre osservato che le autorità argentine «hanno compiuto sforzi significativi per espandere l’assistenza sociale alle madri e ai bambini vulnerabili, nonché per proteggere il potere d’acquisto delle pensioni» e hanno riscontrato progressi nell’espansione del «sostegno politico e sociale» per l’aggiustamento fiscale e la «lotta contro interessi radicati». L’Argentina aveva ricevuto un prestito di 44 miliardi di dollari dal Fmi nel 2018, sotto il governo di Mauricio Macri, ma non era poi riuscita a restituirlo nei tempi concordati. Macri è ora per Milei un alleato indispensabile, ma il rapporto fra i due non è poi così semplice. Javier ha appena inaugurato un busto a Carlos Saúl Menem, il 46° presidente, con cui fa un dispetto a Cristina Kirchner, visto che ha preso il posto di un busto di suo marito Néstor; ma dà anche uno schiaffo all’alleato, dato che definisce il presidente di origine siriana come «il migliore dei suoi predecessori». Dopo Macri era venuto Alberto Fernández, che nel marzo 2022 aveva firmato un accordo per rifinanziare il debito che prevedeva obiettivi di riduzione del deficit fiscale, accumulo di riserve e limiti all’emissione monetaria.


Le erogazioni sono condizionate al raggiungimento degli obiettivi e la loro destinazione principale è il pagamento delle scadenze del debito. A gennaio il governo ha ricevuto una prima erogazione di 4,7 miliardi di dollari, impegnati in anticipo dal nuovo governo. Milei ha ereditato un Paese con gravi squilibri economici, tra cui elevata inflazione, deficit fiscale e numerose restrizioni valutarie. Secondo il Fmi, «la ferma attuazione del piano di stabilizzazione delle autorità ha consentito progressi più rapidi del previsto nel ristabilire la stabilità macroeconomica».


RISERVE IN CRESCITA
Negli ultimi mesi anche le riserve internazionali della Banca Centrale sono aumentate di oltre 4.000 milioni di dollari, arrivando a 27.127 milioni di dollari. Sono ancora insufficienti per rimuovere il tasso di cambio che impedisce il libero acquisto di valute nel mercato ufficiale, ma il Fmi ha confermato che l’Argentina si sta muovendo verso la transizione «verso un nuovo regime monetario» che implica la concorrenza valutaria. Durante la campagna elettorale, Milei aveva promesso che avrebbe dollarizzato l’economia argentina, ma in seguito ha chiarito che avrebbe semplicemente consentito l’uso della valuta statunitense come valuta aggiuntiva. I critici del governo obiettano che la povertà con Milei è aumentata, rispetto a un già elevato 42% del tempo del suo insediamento. A febbraio, l’ultimo mese con dati ufficiali, l’attività economica è scesa del 3,2% rispetto a un anno prima e i primi dati di marzo danno un -21% su base annua. Ma Milei si dice sicuro che continuando su questo passo miglioreranno anche questi dati. Le riforme comunque stanno cambiando uno dei Paesi più statalizzati del globo in modi inattesi: la liberalizzazione del commercio agricolo sta infatti provocando la crescita in modo massiccio dell’importazione di yerba mate, con cui gli argentini preparano un popolarissimo infuso. I 3,83 milioni di chili entrati nel primo trimestre del 2024 sono infatti quasi il 30% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno record del 2020. L’apparente contraddizione, rispetto al dato dei consumi in compressione, si spiega per il fatto che rendendo Milei più flessibile l’acquisto di divisa estera per le importazioni, il prodotto in arrivo da Brasile e Paraguay è arrivato a costare 1.250 pesos al chilo, contro i 1.800 chiesti dalle imprese nazionali, concentrate nelle province di nord-orientali di Misiones e Corrientes. Il governatore della provincia di Misiones, Hugo Passalacqua, ha espresso al governo la sua «preoccupazione» per la situazione. Per l’Argentina è il momento della verità.

 

 

 

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