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Shani Louk, il cadavere trovato in un tunnel sotto gli uffici Onu

Amedeo Ardenza
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Il governo di Gerusalemme punterebbe a raggiungere un accordo con Hamas per la liberazione degli ostaggi e, di conseguenza, per instaurare un periodo di tregua a Gaza. Battuta dalle agenzie sabato sera, la notizia rivela come il gabinetto guidato da Benjamin Netanyahu, che non ha mai fatto mistero di voler sconfiggere Hamas militarmente, subisca la forte pressione delle famiglie dei 125 ostaggi israeliani ancora nelle mani dei terroristi di Hamas a Gaza. «Ci appelliamo ai ministri Eisenkot, Gallant e Deri: non lasciate che (Netanyahu) trascuri i membri delle nostre famiglie abbandonandole al destino della tortura e della morte per mano degli assassini di Hamas», ha scandito in tv la cugina di una donna rapita.

La voce dei forum per liberare gli ostaggi ha ripreso vigore in Israele dopo la diffusione del video dei maltrattamenti subiti da cinque soldatesse rapite durante il pogrom del 7 ottobre. Sempre ieri, i governi di Usa ed Egitto hanno annunciato un accordo per far passare gli aiuti umanitari dell’Onu attraverso il valico di Kerem Shalom fra Gaza e Israele ma molto prossimo all’Egitto.

Israele aveva chiuso il valico il 5 maggio a seguito di un attacco missilistico di Hamas nel quale avevano perso la vita quattro militari. Sempre in tema di aiuti, l’Italia riprenderà a sostenere Unrwa, l’Agenzia delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi, con un versamento di 5 milioni di euro. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Antonio Tajani dopo aver ricevuto alla Farnesina il primo ministro dell’Autorità palestinese Mohammed Mustafa. Assieme, fra gli altri, a Usa, Australia, Gran Bretagna, Canada, Paesi Bassi, Germania, Svizzera e Finlandia, il governo Meloni aveva sospeso i finanziamenti all’Unrwa a fine gennaio quando era emerso come alcuni dipendenti dell’agenzia avessero partecipato all’attacco scatenato da Hamas il 7 ottobre del 2023.

 

DUE POPOLI, DUE STATI
Tajani ieri ha promesso nuovi finanziamenti a favore dei palestinesi per un totale di 35 milioni. E ha ribadito: «Noi crediamo che sia necessario lavorare alla soluzione due popoli, due Stati».

La decisione di riaprire i rubinetti degli aiuti era nell’aria: nel discorso pronunciato il 7 maggio davanti all’Assemblea Generale dell’Onu il presidente della Repubblica Sergio Mattarella aveva menzionato «la funzione essenziale» esercitata dall’Unrwa. Un unicum all’interno del sistema onusiano, l’Unrwa è dedicata al supporto esclusivo dei palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e nei paesi del Medio Oriente. La sua attività di supporto ai profughi del 1948 e del 1967, ai loro figli, nipoti e pronipoti – ai quali Unrwa riconosce a loro volta lo status di profugo – permette a molti paesi arabi di opporsi da decenni all’integrazione dei palestinesi all’interno delle proprie società. Non sono poi mancati i casi, documentati da ricercatori israeliani e di paesi terzi, di libri di testo e di insegnanti delle scuole dell’Unrwa impegnati a diffondere una narrativa profondamente antisionista se non antisemita fra le decine di migliaia di scolari.

L’esistenza stessa di una diaspora palestinese sempre più grande (circa 6 milioni di persone) che si illude di poter rientrare un giorno nel territorio dell’Israele storico è uno dei principali ostacoli al raggiungimento di un accordo di pace israelo-palestinese. Quando, nel 2000, l’allora primo ministro israeliano Ehud Barak offrì a Yasser Arafat di fondare uno Stato palestinese sul 97% dei territori che Israele aveva conquistato in guerra e che avrebbe ceduto, Gerusalemme est inclusa, questi oppose un secco no proprio in nome del «diritto al ritorno» dei palestinesi della diaspora. La ripresa dei finanziamenti da parte dell’Italia fa seguito a decisioni analoghe di Ue, Svezia, Finlandia.

Francia, Spagna e Australia a marzo e Giappone e Germania ad aprile fra solenni promessi di sorvegliare che l’agenzia operi «in uno spirito privo di incitamento all’odio e alla violenza», come per esempio spiegato da un portavoce del ministero degli Esteri di Parigi il 28 marzo.

 

IL CADAVERE DI SHANI
Che Hamas controlli ancora oggi le infrastrutture dell’Agenzia lo ha confermato il ritorvamento, una settimana fa, dei corpi di Shani Louk, Itzhak Gelerenter (56), Amit Buskila (28) e Ron Benjamin (52), tutti uccisi il 7 ottobre. Il quotidiano tedesco Bild ha rivelato che i cadaveri erano nascosti in un tunnel profondo dieci metri sotto un edificio appartenente all’UNRWA, finanziata dalla Germania.

Il corrispondente militare israeliano Doron Kadosh di GLZRadio ha realizzato le riprese tv dell'edificio e del tunnel. Un cartello chiarisce che l'edificio è stato finanziato dalla banca statale tedesca KfW, cioè con i soldi dei contribuenti tedeschi tramite il Ministero federale per la cooperazione e lo sviluppo economico o il Ministero degli Esteri.

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