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Fronte orientale, linea Maginot della Nato: come si addestrano gli italiani ai confini d'Europa

Antonio Castro
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C’è uno spicchio d’Italia in Lettonia. In questo lembo baltico d’Europa la Nato vuole stendere un “cordone di sicurezza militare” sul confine che scende fino alla Polonia. Il tutto per non trovarsi impreparati ad un eventuale aggressione. L’“Operazione speciale” lanciata due anni fa dalla Russia contro l’Ucraina deve averci insegnato qualcosa. A metà luglio la Nato cambierà i vertici. Passaggio assai delicato. Il norvegese Jens Stoltenberg, cederà il timone dell’Alleanza atlantica al già indicato Mark Rutte. L’ex premier dei Paesi Bassi prenderà servizio il 2 ottobre. E da “falco” del clan dei rigoristi europei cambierà berretto. L’ex premier dovrà questa volta gestire i delicati equilibri e militari della Nato.

La scorsa settimana il nostro ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha incontrato a Roma il collega lettone Andris Spruds. Strette di mano, cordialità, foto di rito. Di sicuro c’è la consapevolezza che ai bastioni orientali d’Europa c’è da stare in guardia. Da tempo l’Italia (in collaborazione con Canada, Spagna e altri 7 Paesi) ha dispiegato alle porte di Riga un contingente multinazionale. Non si tratta di una missione d’intervento, di pace o d’interposizione.

 

 

 

«Ma di addestramento comune tra diverse forze armate, che utilizzano differenti sistemi d’arma. I politici la sintetizzano come una «maggiore integrazione tra i nostri Paesi e coesione in ambito Alleanza Atlantica». «Il Task Group Baltic», spiega a Libero il comandante del contingente italiano dislocato in Lettonia, nella base di Adazi, Michele Solometite, «svolge attività operative e di addestramento. La nostra sfida è amalgamarci con gli eserciti di altri 9 Paesi. Ciascuno oggi ha le proprie procedure, mezzi e materiali. Lo scopo è unificare tattiche e strategie in un’unica soluzione».

Il tutto si svolge a soli 150 chilometri dal confine con la Russia. A presidio di questo spicchio d’Europa sono stati schierati dal 2022 «quattro battlegroup in Polonia, Lettonia, Estonia e Lituania». Schieramento dissuasivo chiariscono i nostri militari. Mai tempi della politica talvolta non coincidono con quelli della realtà. Di pari passo con l’elezione dei nuovi rappresentanti al Parlamento europeo, e in attesa che tra metà luglio e novembre 2024 vengano riempite tutte le poltrone europee, è già arrivata da Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania la richiesta all’Ue di costruire una linea di difesa lungo il confine con Russia e Bielorussia. Linea di «protezione dalle minacce militari e da altre azioni dannose da parte di Mosca». L’anticipazione del Kyiv Independent, è dettagliata e riporta particolari della missiva inviata a Bruxelles e alla Nato: la richiesta pressante è di realizzare «la creazione di un sistema di infrastrutture di difesa per rispondere all’esigenza acuta e urgente di proteggere l’Ue dalle minacce militari e ibride». Una linea di difesa che potrebbe essere costruita «in coordinamento con la Nato e le sue esigenze militari». Il costo è rilevante: secondo le stime dei funzionari dell’Ue si viaggia nell’ordine di «circa 2,5 miliardi di euro (2,67 miliardi di dollari)» per realizzare questa nuova linea Maginot che nelle intenzioni dovrebbe correre lungo il confine per ben 700 chilometri. In un territorio non proprio accogliente.

In attesa che la politica faccia conti e scelte, nella sterminata foresta di conifere che circonda Riga ci si addestra. I lettoni hanno messo a disposizione degli alleati canadesi, spagnoli, italiani, croati, macedoni, albanesi, svedesi, norvegesi un poligono militare di esercitazione che offre le condizioni estreme. «La sfida, tra le altre, è adattarsi alle condizioni di esercitazioni con temperature che oscillano tra i 25/30° dell’estate», spiega il comandante del contingente italiano, «e i meno 20 gradi dell’inverno. Uno stress per uomini e mezzi non indifferente».

Come se non bastasse negli ultimi decenni i governi italiani che si sono alternati non hanno saputo tracciare una rotta industriale per il rinnovo delle flotte dei mezzi militari: e così oggi ci troviamo con un parco datato. Indispensabile supporto per gli approvvigionamenti da garantire alle nostre forze armate. «Tra le sfide di questo scenario di esercitazione», spiega nel dettaglio l’alto ufficiale dei Bersaglieri che ha prestato servizio in mezzo mondo, «c’è anche la necessità di pianificare con precisione e per tempo approvvigionamenti, pezzi di ricambio».

 

 

 

È notizia dei giorni scorsi che il colosso italiano Leonardo (ex Finmeccanica), guidato da Stefano Cingolani, sia ormai in «trattative molto avanzate» con i tedeschi di Rheinmetall, per la realizzazione di carri armati di ultima generazione e sostituire i veicoli pesanti (Mbt) e i nuovi veicoli blindati di fanteria (Aifv). L’Esercito deve rinnovare la flotta in servizio (Ariete e Dardo). Questo lo scopo della joint venture paritetica che vale 20 miliardi in 10 anni per 280 carri e 1.000 cingolati più leggeri. L’impegno è notevole. Ma ben finalizzato per offrire un sistema di protezione adeguato.

«Mi creda», taglia corto il comandante del contingente italiano, «quando i nostri alleati vedono come operiamo e come siamo addestrati ci riconoscono una competenza e una capacità unica. Siamo un corpo di élite, trai più rappresentativi. E questa è la sfida che dobbiamo affrontare oggi. Ed eventualmente attuare i correttivi che dovessero servire all’esperienza di addestramento comune. La Nato ha principalmente un ruolo difensivo ma siamo pronti anche a schierare il nostro potenziale di deterrenza in caso di necessità». L’esperienza in oltre trenta teatri operativi sparsi per il mondo è sicuramente servita.

 

 

 

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