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Kamal Harris, per la sinistra italiana ha già vinto: è donna, nera e magistrato

Tommaso Montesano
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Ci sono tre categorie per le quali le elezioni presidenziali Usa sono già finite: le celebrità di Hollywood, i social network di Mark Zuckerberg e gran parte della stampa italiana (in primis quella progressista). A leggere la maggior parte dei quotidiani del nostro Paese, viene da chiedersi perché Donald Trump resti in corsa per la Casa Bianca dopo l’entrata in scena di Kamala Harris. Se non ci fosse il pregresso di quasi quattro annidi amministrazione Biden fallimentari sui dossier a lei affidati- basti pensare all’immigrazione - verrebbe da pensare di trovarsi di fronte a un incrocio tra Golda Meir e Angela Merkel. Del resto cosa spinge La Repubblica, a pagina 9 di ieri, a titolare «Ma io dico che senza Joe il tycoon è spacciato»? (il politologo Larry Sabato). Avete capito bene: la corsa dopo il passo indietro di Biden non è diventata più serrata, incerta. No: Trump è «spacciato». Fine.

E dunque: a cosa si deve un simile ribaltamento di tavolo? Risposta: al carisma, alla forza, alla bellezza, alla spigliatezza, all’ironia, alla gioventù della nuova frontrunner dell’Asinello. Una candidata praticamente imbattibile, a scorrere i periodici nostrani (e allora l’obiezione è: ma perché finora ce l’hanno tenuta nascosta?). La parola del giorno è «ragazzaccia». In senso positivo, ovvio. Perché Kamala è sfrontata il giusto- brat- ovvero indipendente, monella, intraprendente.

 

Finalmente la donna giusta al posto giusto, gongola Maria Laura Rodotà sulla Stampa, per battere The Donald, espressione dell’America peggiore: lui, Trump, «vecchio», con il suo mondo «fascio-distopico». E invece lei, Kamala, «sfidante giovane, sorridente, rilassante, che balla bene». Con un percorso per la Casa Bianca limpido, cristallino: «Cerca di far votare le donne afroamericane che sono gli elettori più affidabili, le minoranze, i più giovani, i laureati e gli abitanti delle città». Non come quel bifolco di Trump: siamo alla “sinistra ztl” al cubo.

Soprattutto, Kamala nella sua prima vita, precedente alla politica, era un magistrato. E «da attorney general è diventata famosa», ricorda Rodotà. E poi vuoi mettere, mette a verbale su X Gianrico Carofiglio - anche lui un magistrato prestato prima alla letteratura e poi alla politica - la scelta tra un ex «procuratore capo della California» e «un plurindagato e condannato per reati gravi»? «Pensate al valore simbolico della cosa quando ci sarà il primo confronto tra il pubblico ministero Kamala e il vecchio pregiudicato Donald». La toga, meglio ancora se pubblico ministero, sinonimo di virtù a prescindere. Una versione riveduta e aggiornata di un evergreen (a sinistra): il “partito dei giudici”. «Detto da un magistrato dà una lievissima impressione di senso di superiorità antropologica, per il solo fatto di essere tale», replica al post Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato. Anche a Repubblica sono in estasi per la «ragazzaccia». «Effetto ragazzaccia. Dal partito a Hollywood tutti pazzi per Harris». Come se l’America fossero, appunto, solo le star di Los Angeles o i democratici.

Tant’è: è bastato un giorno di Kamala per invertire la rotta elettorale. D’accordo, «tra i sostenitori più eccitati ci sono proprio le tar di Hollywood: da George Clooney a Robert De Niro, dalla sceneggiatore Aaron Sorkin alla cantante Barbra Streisand il plausi è enorme». Ma è l’appoggio della popstar Charli XCX sui social che rischia di far deragliare la campagna elettorale di Trump. E perché? Perché Charli ha scritto su X che «Kamala is brat». Ragazzaccia, appunto. Con 10 milioni di visualizzazioni.

Ma il colpo di grazia alle ambizioni di Trump di tornare alla Casa Bianca arriva nelle pagine seguenti. Laddove Gianni Riotta ci porta nei gusti letterari e musicali di Harris. Il libro preferito è “Paura”, dello scrittore Richard Wright.  «Straordinario», scrive l’editorialista: «Un libro in cui bianchi e neri si odiano brutali e la giustizia è crudele». E la musica? La playlist è condivisa sui social media dalla stessa Harris, ricorda Riotta: «“Lemonade” di Beyoncé, “Push it” di Salt-N-Pepa, o la classica Aretha Franklin,

“Young, gifted and black” con “One nation under a grove” di Funkadelic». E il film? «“Mio cugino Vincenzo”, adorabile commedia del 1992 diretta da Jonathan Lynn, con Joe Pesci aspirante avvocato italoamericano in un processo nel Sud pieno di pregiudizi». Ma sono i libri il fronte preferito di Riotta. Pare di vederlo, l’ex direttore di Tg1 e Sole24Ore, mentre va a curiosare nello scaffale di Kamala: «Con Wright, tiene “Il cacciatore di aquiloni” di Khaled Hosseini, il sogno di Amir per un Afghanistan senza orrori; “Il circolo della fortuna e della felicità”, struggente saga familiare di Amy Tan...».

E «se eletta a novembre», ecco l’anticipazione, «l’ultimo tomo che Kamala Harris porterà a Washington è “Il leone, la strega e l’armadio”, secondo tomo de “Le cronache di Narnia”». Trump è avvisato. Fortuna che sul Corriere della sera il saggista Yascha Mounk riporta tutti sulla Terra: «Forse l’entusiasmo che mostrano sui social è un po’ superiore a quello reale». Forse.

 

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