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Hamas, Yahya Sinwar: il feroce jihadista nascosto vestito da donna

Amedeo Ardenza
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Per gli israeliani più ottimisti l’attacco preventivo scatenato all’alba di sabato scorso contro le postazioni di Hezbollah in Libano finirà negli annali delle imprese militari di portata strategica come il bombardamento delle linee nemiche alla vigilia della Guerra dei Sei giorni nel giugno del 1967. L’alternativa sarebbe stata un diluvio di missili di Hezbollah che avrebbero finito per colpire centrali elettriche e reti telefoniche nel migliore dei casi. Per i pessimisti si è trattato di un’azione tanto efficace quanto disperata arrivata solo dopo dieci mesi e mezzo di guerra di logoramento e che non ha comunque impedito alla milizia sciita libanese di esplodere 320 missili contro Israele né ha permesso di riportare 70 mila sfollati alle case in Galilea abbandonate lo scorso ottobre.

Al coro dei critici del governo si è naturalmente unito il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Nasser Kanaani che su X ha scritto: «Nonostante il sostegno completo degli Stati Uniti, Israele non ha potuto prevedere il tempo e il luogo di una risposta della resistenza (leggi “di Hezbollah”). Israele ha perso il suo potere deterrente». Per non dare ragione ai propri detrattori, nell’ennesima giornata segnata da continui allarmi aerei sul fronte nord il governo di Gerusalemme ha esteso la copertura a carico dello Stato delle spese di alloggio per gli sfollati del nord e del sud d’Israele fino al prossimo 30 settembre e non fino al 31 dicembre ma in molti dubitano che per allora lo scontro quotidiano con Hezbollah – come pure con Hamas a sud - sarà terminato.

 

 

Con una dose di realismo, ieri il capo di stato maggiore delle Israel Defense Forces, il generale Herzi Halevi, ha ricordato i recenti successi quali l’eliminazione del numero due di Hezbollah Fuad Shukr e il bombardamento di sabato scorso per poi ammettere che «Hezbollah ha ancora capacità di agire e il lavoro non è ancora completo. La nostra missione è chiara, riportare i residenti del nord alle loro case in sicurezza e lavoriamo in quella direzione». E sempre ieri le Idf avrebbero colpito un obiettivo a Sidone, in Libano, prendendo di mira però un esponente di Hamas nel Paese dei Cedri: Nidal Hleihil sarebbe rimasto gravemente ferito nell’attacco.

Da Gaza intanto, battuta dai media britannici che citano fonte di intelligence israeliana, è arrivata la notizia che Yahya Sinwar, leader politico e militare di Hamas, non vivrebbe costantemente nascosto in qualche tunnel. A differenza del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, che si vuole murato in un rifugio libanese, Sinwar sarebbe uscito più volte all’aperto negli scorsi mesi vestito da donna mescolandosi alla popolazione gazawi fra uno spostamento e l’altro per sfuggire alla caccia che gli danno gli israeliani.

Una caccia che secondo le Nazioni Unite interferisce con l’azione umanitaria dell’Onu a Gaza: così ieri, dopo che le Idf hanno dato ordine ai gazawi di sgomberare la zona di Deir Al-Balah nel centro della Striscia, un funzionario Onu ha affermato: «Non siamo in condizione di fornire il nostro aiuto oggi a causa delle condizioni in cui ci troviamo ma non lasciamo Gaza perché la popolazione ha bisogno di noi». Protetto dall’anonimato, il funzionario ha spiegato che quando, mesi fa, Israele dette ordine di sgomberare Rafah, nel sud della Striscia, il personale Onu si era spostato proprio a Deir Al-Balah. «E ora cosa facciamo?».

Il protrarsi della guerra al sud e l’aumento della tensione al nord stanno intanto avendo riflessi sul mercato del petrolio: dopo che anche il portavoce del Pentagono, generale Patrick Ryder, ha osservato che «sulla base dei commenti pubblici fatti dai leader iraniani continuiamo a valutare che esiste una minaccia di attacco», il prezzo del Brent è salito del 3% a 81,15 dollari al barile lunedì. Né aiutano le minacce alla navigazione nel Mar Rosso rappresentate dagli Huthi in Yemen: la petroliera greca MV Sounion che trasporta 150.000 tonnellate di greggio e che è stata attaccata dalla milizia pro-Iran è in fiamme e alla deriva in quel mare.

 

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