La guerra preventiva come rimedio per disinnescare una guerra su più ampia scala è un classico della storia. L’attacco di Israele all’Iran ha richiamato con prepotenza questo strumento estremo che scavalca le deficienze della politica e i limiti della diplomazia. Nel Novecento, il secolo delle due guerre mondiali, azioni preventive vennero avanzate per disinnescare quadri più catastrofici, e con senno del poi i promotori avevano ampiamente ragione, guardando più lontano dei politici. Il generale Franz Conrad von Hötzendorf, capo di Stato Maggiore dell’esercito austroungarico e consigliere di Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, era convintissimo della necessità di muovere una guerra preventiva contro la Serbia per smorzarne le velleità nazionaliste, e contro l’Italia alleata dal 1882 perché ritenuta l’elemento più destabilizzante per la tenuta dell’Austria-Ungheria.
Per cinque volte avanzò un piano militare per neutralizzare la Serbia e le sue interferenze panslave nei Balcani, e allertò reiteratamente sulla necessità di attaccare l’Italia dei Savoia. Tanto era stato insistente, che il vecchio Francesco Giuseppe lo licenziò nel 1911, salvo richiamarlo in servizio dopo sei mesi. La visione e la previsione di Conrad saranno confermate dalla storia: il 28 giugno 1914 Francesco Ferdinando verrà assassinato a Sarajevo dal nazionalista serbo Gavrilo Princip, avviando il meccanismo diabolico delle alleanze e della prima guerra mondiale, e il 24 maggio 1915 l’Italia entrerà in guerra contro l’Austria-Ungheria rovesciando le alleanze. Come da lui previsto, l’impero non sopravviverà a quella tragedia continentale.
Adolf Hitler aveva da pochi giorni vinto le elezioni del 1933 conquistando il cancellierato, e già il 16 febbraio il senato filonazista della città libera di Danzica denunciava unilateralmente l’accordo con la Polonia sull’amministrazione del porto. Il gesto non era passato inosservato da Varsavia che il 6 marzo inviava un battaglione di fanteria a Westerplatte, l’area del porto della città anseatica contesa, dove i polacchi tenevano una guarnigione e un deposito di munizioni. Stavolta Berlino faceva finta di niente, perché il riarmo a tappe forzate era appena iniziato e l’esercito polacco avrebbe fatto a pezzi la Wehrmacht. $ lo stesso Hitler a premere sul senato di Danzica per abbassare i toni e non provocare la Polonia, mentre la diplomazia internazionale lavorava al Patto a quattro avanzato da Benito Mussolini, che però veniva talmente limato da smorzarne la portata: la «politica comune» diventa una più neutra «politica di collaborazione effettiva in vista del mantenimento della pace» limitata alle questioni riguardante Francia, Italia, Gran Bretagna e Germania. Quello che Henry de Jouvenel definiva «la garanzia di dieci anni di pace» e furbescamente Hitler come «una schiarita nella vita dei popoli d’Europa», era invece svuotato di contenuti.
La stasi preludeva alla guerra. $ controverso, ma non escluso dagli studiosi, che già a marzo e in tempi di diplomazia segreta il Maresciallo Józef Pilsudski aveva ammonito Edouard Daladier sulla Germania hitleriana, proponendo con un memorandum un’azione preventiva franco-britannico-polacca per schiacciarne la rinascita militare con un attacco simultaneo da este da ovest. Pilsudski aveva fornito su un piatto d’argento il casus belli, proprio a Westerplatte. Il capo del governo francese aveva diplomaticamente declinato. Il Maresciallo ci aveva riprovato ad aprile, ma stavolta Daladier non aveva neppure risposto. A Westerplatte, alle 4.,45 del I settembre di sei anni dopo, deflagrava la seconda guerra mondiale.