Non vogliono le nozze di Bezos per invidia, non per amore di Venezia

Cosa muove gli attivisti che si sono battezzati “No Space for Bezos” a mobilitarsi per ostacolare il matrimonio del fondatore di Amazon che si celebrerà dal 26 al 28 giugno a Venezia?
di Corrado Oconegiovedì 19 giugno 2025
 Jeff Bezos nello spazio

 Jeff Bezos nello spazio

3' di lettura

Cosa muove gli attivisti che si sono battezzati “No Space for Bezos” a mobilitarsi per ostacolare il matrimonio del fondatore di Amazon che si celebrerà dal 26 al 28 giugno a Venezia? Per chi conserva un minimo di buon senso, e direi anche di orgoglio nazionale, che la città lagunare sia mèta così ambita dovrebbe far solo piacere. Il fatto poi che al matrimonio saranno presenti vip e persone influenti provenienti da mezzo mondo dovrebbe far pensare in positivo alla ricaduta in termini di immagine, e anche di introiti, che Venezia potrà averne, rinnovando il mito di città-icona che dura da tempo e che, nella società della comunicazione, è necessario alimentare in continuazione. Nulla di tutto questo è però presente nelle motivazioni addotte dai promotori della protesta, appartenenti alla vasta e varia galassia della sinistra movimentista (non manca l’onnipresente Anpi).

DI CHI È L’ARROGANZA?
Si parla piuttosto dell’“arroganza” di Bezos che si è accaparrato, ovviamente a suon di miliardi, i più prestigiosi hotel del centro. E dell’“arroganza” del sindaco che non si capisce perché non avrebbe dovuto mettergli a disposizione la Chiesa dell’Abbazia della Misericordia per il rito. A ben vedere, l’arroganza, o meglio la prevaricazione, c’è, ma sta tutta dalla parte di chi vuole impedire a un cittadino di spendere come meglio crede i suoi soldi e cioè di esercitare un suo diritto (è paradossale da parte di chi parla in ogni momento di diritti”). Uno dei capi degli attivisti, tal Tommaso Cacciari, arriva addirittura a minacciare: «Anche se istituiranno la zona rossa riusciremo a fermare il corteo». Come si spiega tanta violenza e acrimonia? Celiando, si potrebbe rispondere con il Berlusconi d’antàn: «siete sempre e solo dei poveri comunisti!». Fuor di celia, ciò che gli attivisti non tollerano è che Bezos sia ricco. L’odio per la ricchezza è così forte in loro che un altro degli organizzatori del sit-in arriva a dire che i soldi che gireranno a Venezia nei giorni del matrimonio andranno tutti alle «lobby dei tassisti e dei gondolieri» e ad alberghi «gestiti dal capitale finanziario».

Come è noto, Karl Marx aveva fondato la sua dottrina sui concetti di “lotta di classe” e di “rivoluzione”, mosso più che altro da un’ideologia millenaristica e salvifica. Quanto alla ricchezza, egli non la disprezzava in sé: sperperava per cose futili quello che in certi periodi felici della sua vita aveva in tasca; e soprattutto sognava un mondo ove tutti godessero di immense possibilità e risorse (non era per nulla un fautore della “decrescita felice”). Per affermarsi il comunismo ha però avuto necessità, nei decenni a seguire, di far leva su un sentimento negativo e distruttivo che alberga nell’animo umano: il risentimento, per dirla con Nietzsche, o l’invidia sociale, per usare un temine a noi più vicino. La ricchezza è allora diventata per la sinistra non un volano di innovazione e progresso per tutti, come è in ottica liberale, ma un male da estirpare, lo “sterco del demonio” per usare un termine in voga in certo cattolicesimo medievale. L’invidia, proprio perché è una “passione triste”, si pone, fra l’altro, in netto contrasto con l’idea di competizione, che come è noto è propria dei liberali.


Chi ha invidia sociale non vede la ricchezza di chi l’ha guadagnata con le proprie idee imprenditoriali come uno stimolo ad emulare e a far meglio, nella misura del possibile. La vede piuttosto come un elemento da estirpare a prescindere. Certo, si possono avere dubbi estetici sui gusti alquanto kitsch del magnate, ma questo è tutt’altro discorso perché ognuno fa l’uso che vuole del proprio denaro e i gusti per fortuna non si possono imporre per legge. Così come tutt’altro discorso è considerare che è forse giunto il momento di ripensare seriamente a come mettere a frutto l’immagine iconica che ha Venezia nel mondo. Ma con un solo fine, che non è quello della sinistra: il bene della città e dell’Italia intera.

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