Vance va a Disneyland e la sinistra impazzisce

Rancorosi disconnessi dal mondo: l’anima liberal degli Stati Uniti gioca la carta della famiglia, senza successo
di Dario Mazzocchimartedì 15 luglio 2025
 Vance va a Disneyland e la sinistra impazzisce
3' di lettura

Luglio, l’estate che si fa sentire in tutto il suo splendore e la voglia inevitabile di staccare la spina, anche soltanto per un fine settimana, specie se il tuo lavoro è piuttosto impegnativo. Ma se il tuo lavoro è quello di vicepresidente degli Stati Uniti – e sei un Repubblicano cattivo – la politica è destinata a perseguitarti ovunque, senza fare sconti alla tua famiglia.

Il fatto: sabato scorso J. D. Vance ha raggiunto la California dove ha trascorso un paio di giorni con moglie e figli nel più famoso dei parchi divertimento, Disneyland, «il luogo più felice sulla Terra». La visita non è passata inosservata: foto e video di media e turisti sono comparsi su giornali, tv e internet.

Ad attenderlo c’era un gruppo di contestatori, un centinaio in tutto, che ne ha approfittato per protestare contro le espulsioni degli immigrati clandestini avviate dall’amministrazione Trump fin dall’insediamento. Nulla di eclatante, piuttosto scontato anzi. Il vero artiglio progressista si è invece manifestato con il post del governatore dello stato, Gavin Newsom, che sulla questione è diventato il baluardo del Partito democratico.

«Spero che ti stia godendo il tempo con la famiglia, J. D. Vance. Le famiglie che stai distruggendo di certo non lo fanno» è stato il messaggio consegnato via X. Un trattamento indubbiamente elegante, se si considera che nei giorni scorsi Newsom ha bollato Donald Trump come «un vero schifo» a seguito di alcuni interventi particolarmente duri dell’ICE, l’agenzia federale responsabile del controllo della sicurezza delle frontiere e dell’immigrazione, incaricata di coordinare le espulsioni. Il suo staff ha dato fiato alle polemiche, sempre via social, sottolineando come il 35% della popolazione di Anaheim, quartiere in cui sorge Disneyland, sia composto da immigrati e che senza di loro il parco giochi non rimarrebbe aperto.

«Mi sono divertito molto, grazie», si è limitato a commentare Vance in risposta a Newsom. E così lo spunto per una polemica da portare avanti per qualche giorno è stata smorzato sul nascere. La tensione tra Washington e la California non è però destinata a placarsi: ancora Newsom ha elogiato pubblicamente la decisione di un giudice federale di emettere un ordine temporaneo che vieta gli arresti operati dall’ICE basati su razza, lingua o luogo di provenienza finché ai detenuti non sia garantita l’assistenza legale. Un faccia a faccia duro, alimentato in passato dalla gestione degli incendi che hanno colpito Los Angeles e dalla gestione delle rivolte che hanno interessato la metropoli della West Coast e con la Casa Bianca pronta a schierare Guardia nazionale ed esercito senza il consenso del governatore.

Stavolta l’anima liberal degli Stati Uniti ha giocato la carta della famiglia, senza successo. Da una parte perché Vance si è abilmente smarcato, dall’altra perché nell’immaginario americano Disneyland è uno dei simboli delle vacanze da trascorrere con i propri cari, lasciando fuori tutto il resto. Niente stress, le uniche code da fare sono al più quelle per accedere alle attrazioni, musica, fuochi pirotecnici e spettacoli: The Happiest Place on Earth è immune al battibecco ideologico – per quanto Disney sia in realtà diventata una delle società più ossessionate dall’agenda woke, ma pazienza, Mickey Mouse, Paperino & Co. fanno sempre sorridere grandi e piccini. E nessuno si sogna di cacciare i lavoratori immigrati che rendono tutto questo possibile ogni giorno, tutti i giorni dell’anno, a patto che siano in regola come il buonsenso prevede.

La sinistra statunitense è ancora sopraffatta dal rigurgito conservatore dello scorso novembre, da una sponda all’altra: a New York si sta affidando ad un candidato sindaco islamico e dichiaratamente socialista, in California si appiglia a tutto, compresi i weekend di svago che Vance e la moglie Usha hanno dedicato ai figli Ewan, Vivek e Mirabel. Una rancorosa disconnessione dal mondo attorno a loro che nemmeno un’allegra commedia disneyana saprebbe sanare.

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