Cina, guerra delle dighe: parte la centrale che asseterà gli indiani

di Mirko Moltenigiovedì 24 luglio 2025
Cina, guerra delle dighe: parte la centrale che asseterà gli indiani
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La Cina ha inaugurato l’inizio della costruzione in Tibet di una diga che diverrà la più grande e potente del mondo, superando un’altra famosa opera idraulica cinese, la Diga delle Tre Gole, alias Sanxia Daba, completata nel 2003 sullo Yangtze, il Fiume Azzurro. Il primo ministro cinese Li Qiang ha dato il via ai lavori il 19 luglio, presso la città di Nyingchi, nel sudest del Tibet, nella contea di Medog, o Motuo. Lo sbarramento sorgerà sul fiume Yarlung Tsangpo. Non è che il Brahmaputra, uno dei maggiori fiumi indiani, come viene chiamato in Cina nel tratto iniziale in territorio tibetano. Perciò il governo di Nuova Delhi ha espresso preoccupazione affermando che monitorerà attentamente l’infrastruttura cinese. La diga di Medog era stata preannunciata nel 2020, quando si prevedeva d’avviarla nel Piano Quinquennale 2021-2025. L’approvazione finale del progetto è arrivata dal governo di Pechino nel dicembre 2024 e ora s’iniziano a scavare le fondamenta del colosso, che sarà terminato nel 2033.

A pieno regime avrà una capacità energetica installata di ben 60 GigaWatt, contro i 22,5 GW della Diga delle Tre Gole, mentre la produzione annua di elettricità arriverà a 300 TeraWatt/ora, contro i 101 dell’altra diga. Potenza resa possibile dallo sfruttare un dislivello di 2.000 metri grazie a 4 gallerie lunghe 20 km scavate sotto la montagna Namcha Barwa come condotte a gravità per le turbine, nella ripida area in cui il fiume s’insinua fra incredibili canyon. La maggior parte di tale energia è destinata ad altre regioni della Cina, anziché al Tibet.

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È la dottrina enunciata dal presidente Xi Jinping con lo slogan «xidian dongsong», ovvero «mandare a Est l’elettricità dell’Ovest». Si riferisce allo sfruttamento delle risorse del meno popolato entroterra continentale dell’Ovest della Cina, generalmente montuoso o desertico, per soddisfare il fabbisogno energetico delle congestionate provincie dell’Est, dove la maggior parte dei cinesi vive nelle megalopoli industriali costiere e delle medie pianure alluvionali. L’investimento costerà 1.200 miliardi di yuan, pari a 167 miliardi di dollari, e perla sua realizzazione è stata fondata una società statale apposita, China Yajiang Group.

Per il vicepremier cinese Zhang Guoqing la costruzione della diga di Medog avverrà «all’insegna dell’innovazione tecnologica e del rispetto ambientale». Ma l’India non è tranquilla, perché vede crescere un intero sistema di dighe in Tibet che i cinesi hanno avviato fin dal 2000, programmando ben 193 sbarramenti idroelettrici, fra grandi e piccoli, dei quali il 60% tuttora da costruire. Fra 2013 e 2014 suscitò violente proteste in India, con tanto di bandiere cinesi bruciate in piazza, l’entrata in funzione della diga di Zangmu, sempre sul corso tibetano del Brahmaputra, che era stata iniziata nel 2009 e che ha una capacità di 0,5 GW. Un nano rispetto alla diga appena avviata. Per i cinesi puntare sulle dighe non significa solo diversificare la produzione energetica per diminuire la dipendenza dal petrolio, importato, ma anche dal carbone, di cui vanta giacimenti nazionali.

È anche un richiamarsi all’antica propaganda dei secoli passati, quando il potere imperiale nacque in primis per regolare le acque e l’irrigazione, dunque la produzione agricola, con opere di canalizzazione che solo un potere centrale poteva concepire. La Cina, insomma, si conferma ancora oggi un dispotismo orientale di origine idraulica, come lo battezzò nel 1962 lo studioso delle civiltà Karl Wittfogel, ravvisando l’origine dello Stato nelle cosiddette “civiltà idrauliche”, ovvero l’Egitto, la Mesopotamia, la Cina e l’India. Il despota orientale, l’imperatore, è il capo di un apparato che regola le acque e quindi protegge la sua gente da fame e inondazioni. Certo, oggi lo scopo è anche l’elettricità, ma l’archetipo, inconsciamente o no, sopravvive. L’India, che è in perenne tensione con la Cina per il confine sull’Himalaya, con frequenti scaramucce militari, teme conseguenze per il regime idrico del Brahmaputra, così come il Bangladesh, in cui il fiume indiano si unisce al Gange nel grande delta del Golfo del Bengala.

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La diga sorgerà a soli 30 km dal confine indiano, il che la renderebbe vulnerabile in caso di conflitto, ma questo è il caso più estremo. Si sa che Pechino e Nuova Delhi sono rivali di lunga data, tanto che la loro traballante relazione è l’anello debole del sistema di potenze emergenti BRICS. Gli indiani reagirebbero avviando un progetto idroelettrico concorrente, in quella che sembra diventare una “guerra delle dighe”. Si parla di velocizzare la costruzione di una diga da 11 GW sul tratto di Brahmaputra chiamato fiume Siang, che solca lo stato indiano dell’Arunachal Pradesh, il Siang Upper Multipurpose Storage Project, di cui l’ente indiano National Hydroelectric Power Corporation conduce studi di fattibilità dal giugno 2022. La sferzata cinese potrebbe spingere Nuova Delhi ad approvare i lavori per un’opera intesa anche a fare da barriera di sicurezza nel caso un’inondazione si origini da problemi alle strutture cinesi.

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