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Gli ex diplomatici pro-Pal sono già diventati i nuovi idoli della sinistra

La lettera recapitata a Meloni in cui si ordina l'immediato riconoscimento della Palestina. Con buona pace delle virtù di un diplomatico...
di Carlo Nicolato lunedì 28 luglio 2025

4' di lettura

Un gruppo di diplomatici poco diplomatici ha scritto ieri una lettera aperta a Giorgia Meloni in cui si chiede, anzi si ordina, visti i toni perentori della stessa, «l’immediato riconoscimento nazionale dello Stato di Palestina, in vista della Conferenza internazionale sull’attuazione della soluzione e due Stati». L’appello è firmato da 34 ambasciatori in pensione che evidentemente hanno mandato in pensione anche le virtù principali di un diplomatico che sono appunto l’accortezza, la circospezione, la pazienza, la perseveranza, insomma tutte quelle caratteristiche che servono per salvaguardare gli interessi di una parte senza incrinare rapporti, anzi consolidandoli, con l’altra parte.

Per gli ambasciatori in questione – l’iniziativa è partita da Pasquale Ferrara, ex direttore Affari Politici della Farnesina – tuttavia la situazione è tale che le virtù di cui sopra perdono di significato, l’evidenza è così schiacciante che la diplomazia e tutti i suoi consunti arnesi può anche andare a farsi benedire. «Ci sono momenti nella storia in cui non sono più possibili ambiguità né collocazioni intermedie», scrivono nella lettera con tono solenne, «questo momento è giunto per Gaza».

Spiegano poi che «ormai da molti mesi non ci sono più giustificazioni possibili o argomentazioni convincenti sulla condotta delle operazioni militari israeliane a Gaza» e che «gli esecrabili attacchi di Hamas del 7 ottobre 2023 non hanno più alcuna relazione, né quantitativa né qualitativa, con l’orrore perpetrato nella Striscia da Israele nei confronti della stragrande maggioranza di civili inermi». Tutto questo, sostengono, non ha nulla a che vedere con il diritto di Israele all’autodifesa” e «non è affatto improprio» qualificarlo «in termini di pulizia etnica», come dimostra il fatto che la Corte Internazionale di Giustizia stia esaminando «gli estremi del genocidio».

In tutto questo il ruolo dei terroristi si ferma al 7 ottobre. Non ci sono accenni agli ostaggi, al fatto che la popolazione civile stessa è ostaggio di Hamas. Tantomeno che molte delle notizie che arrivano da Gaza non sono verificate e vengono utilizzate dai terroristi per il loro scopo che è anche quello che in Italia ci siano 34 ex ambasciatori che chiedono al presidente del Consiglio di «sospendere ogni rapporto e cooperazione» nel settore militare e della difesa con Israele e di «sostenere in sede Ue ogni iniziativa che preveda sanzioni individuali», riferendosi ovviamente al premier israeliano Netanyahu e i suoi ministri. Nonché di «unirsi al consenso europeo» per la sospensione temporanea dell’accordo Israele-Ue.

L’Italia insomma dovrebbe rompere i rapporti politici con Israele che esistono da che esiste lo Stato ebraico e il plauso della sinistra è sopraggiunto puntuale, scrosciante nonché scontato. «Quegli ambasciatori stanno insegnando a Meloni cosa significa rappresentare lo Stato con onore e dignità», hanno sbraitato Francesco Silvestri e Bruno Marton del M5S. «Cara Giorgia Meloni, qual è il momento in cui riconoscere lo Stato di Palestina? Quando non ci sarà più un palestinese vivo?», ha scritto su X Nicola Fratoianni. Ma se tali cose dette da un politico sono accettabili, anche se ovviamente non le condividiamo, dette da un diplomatico lo sono un po’ meno. Tantopiù che lì in mezzo, tra i firmatari, ci sono funzionari di lunga esperienza che hanno operato in Paesi come la Russia, la Cina, l’Iran e non ci sembra che a loro tempo abbiano chiesto la rottura con Mosca, Pechino o Teheran per l’annientamento dei diritti civili, l’incarcerazione e l’eliminazione dei dissidenti, la repressione nel sangue di manifestazioni, l’impiccagione di omosessuali, le guerre ecc. 

In questi casi la linea rossa oltre la quale non si può più essere diplomatici non era stata oltrepassata? Da buoni ambasciatori se ne stavano tranquilli, mantenevano pacifici rapporti con i padroni di casa, peroravano la causa italica e certamente non inviavano lettere al proprio governo per chiedere sanzioni e mandati di cattura. Tra questi ci sono appunto Alberto Bradanini, ex ambasciatore a Pechino e a Teheran; Pasquale Terracciano, ex ambasciatore a Mosca il cui nome era finito perfino nella lista dell’esecutivo Meloni per occupare un posto nelle partecipate di Stato, Pasquale Ferrara che di recente ha lasciato il suo incarico alla Farnesina di direttore generale per gli Affari politici e di Sicurezza, Piero Benassi, ex consigliere diplomatico di Giuseppe Conte a Palazzo Chigi nella scorsa legislatura, Rocco Cangelosi, diplomatico e consigliere del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, così come Stefano Stefanini che fu anche ambasciatore alla Nato; e l’ex Commissario europeo Ferdinando Nelli Feroci. D’altronde tutto questo non deve sorprendere in anni in cui la diplomazia è stata relegata a ruoli sempre più marginali e affidata a gente come Kaja Kallas. L’Alta rappresentante per le relazioni Estere della Ue, cioè la punta di diamante delle relazioni diplomatiche europee, è quella che definisce Mosca una «minaccia esistenziale» che deve pagare per le sue azioni e non a caso è anche quella che ha proposto la sospensione dell’accordo di associazione tra Unione europea e Israele citato dalla lettera delle feluche. Per fortuna l'Unione Europea lo ha già bocciato in tronco.

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