OPINIONE

Il volo di Icaro di chi vuole inviare truppe

di Mario Sechimercoledì 20 agosto 2025
Il volo di Icaro di chi vuole inviare truppe

5' di lettura

Rientrati in Europa, Emmanuel Macron, Keir Starmer e Friedrich Merz hanno ripreso il loro balletto diplomatico, mentre la rappresentante europea della politica estera, Kaia Kallas, ha annunciato per settembre altre sanzioni contro Mosca. Cosa abbiano intenzione di fare i “volenterosi” in questa fase è nebuloso, l’unica idea efficace sul piano della deterrenza contro la Russia è arrivata da Giorgia Meloni, quella sull’attivazione di un meccanismo di mutua assistenza per l’Ucraina simile all’articolo 5 della Nato. Al pragmatismo di Meloni non sembra corrispondere una lucida analisi dello scenario da parte di Parigi, Londra e Berlino. Tempo fa il surfista dell’Eliseo, Macron, si diceva pronto a inviare soldati europei in Ucraina, ma fu subito riportato alla realtà dal cancelliere tedesco Friedrich Merz (che è intrappolato nell’indecisione da un’alleanza-kamasutra con i socialdemocratici in sprofondo rosso), ma ora da Londra fanno sapere che si pensa a una «forza di rassicurazione».

E cosa sarebbe? Stanno rispolverando una vecchia idea, il New York Times citando Camille Grand, ex segretario aggiunto della Nato, parla dello schieramento di un nucleo di circa 15.000-20.000 soldati europei, «le truppe sarebbero lontane dal fronte e fornirebbero supporto all’esercito ucraino» che, va ricordato, conta 900.000 soldati ed è il più grande, il più armato ed esperto in Europa. Macron, Starmer e Merz stanno girando intorno al problema, questo: come pensano di “rassicurare” gli ucraini che oggi combattono su un fronte che si estende per oltre 800 chilometri? Al quale vanno aggiunti i 1.000 chilometri di confine con la Bielorussia, il principale alleato di Mosca. Lo scorso febbraio Foreign Affairs scriveva che «diverse valutazioni militari suggeriscono che sarebbero necessarie tra le 40.000 e le 200.000 truppe per far rispettare la pace e dissuadere la Russia da futuri attacchi. L’estremo superiore di questa scala non è semplicemente fattibile, date le forze esistenti e la disponibilità; i colloqui attuali si concentrano invece sull’estremo inferiore, con una proposta di dispiegamento di circa 50.000 truppe europee». L’articolo firmato da Emma Ashford, analista dello Stimson Center e docente della Georgetown University, giungeva a conclusioni da tenere bene a mente in queste ore: «Anche 50.000 soldati rappresenterebbero un aumento significativo per gli Stati europei, che sarebbero costretti a ritirare le forze di pace da altri conflitti e a ignorare i requisiti di pianificazione della difesa della NATO. Ciò aggiungerebbe una nuova missione significativa per le forze europee proprio nel momento in cui viene loro chiesto di assumersi gli oneri della difesa dagli Stati Uniti.

E forse l’aspetto più problematico è che una forza di questo tipo sarebbe probabilmente insufficiente a scoraggiare la Russia, fungendo invece come una forza che potrebbe trascinare l’Europa in una nuova guerra». Mi pare sufficiente per tirare il freno a mano, guardare alla realtà e cercare di chiudere un accordo complessivo con la Russia, senza fughe in avanti. Ancora una volta, la mancanza di senso storico mostra i vuoti di tempo e spazio della politica europea.

Sul fattore tempo, l’Europa non è ancora allineata alla strategia americana di cercare un accordo con la Russia e pare non sentire la pressione, l’urgenza di spegnere il conflitto in tempi brevi. Trump in un’intervista a Fox News subito dopo il vertice alla Casa Bianca ha raccontato un episodio rivelatore: «A tavola, uno dei signori... ha detto: “Beh, incontriamoci tra un mese o due e vediamo se riusciamo a iniziare a fare qualcosa...”. Io ho risposto: “Un mese o due!? Tra un mese o due ci saranno altre 40.000 vittime: bisogna agire stasera stessa”. E così ho fatto: ho chiamato il presidente Putin e stiamo cercando di organizzare un incontro con il presidente Zelensky». Siamo al sonnambulismo, l’Ucraina non ha risorse infinite, i soldati muoiono, non si consumano solo proiettili e armi, ma vite umane e la loro sostituzione sul campo significa creare vuoti generazionali che sottraggono energia e intelligenza (in proposito leggere Nel castello di Barbablù di George Steiner). Sul fattore spazio (la dimensione di manovra e gli strumenti a disposizione per tenere la Russia sotto pressione) gli sforzi europei dovrebbero concentrarsi sull’aumento dell’assistenza materiale nel teatro di guerra (forniture di armamenti, miglioramento della logistica, dispiegamento dell’intelligence, addestramento delle truppe, riparazioni dell’arsenale, sorveglianza cyber) dove gli ucraini devono difendere le posizioni per non cedere altro terreno ai russi sul tavolo del negoziato, non su misure che si sono dimostrate inefficaci (le sanzioni) e si possono tatticamente usare (e annunciare) in un momento più propizio, cioè quando il negoziato si incaglia e c’è bisogno di una spinta sul Cremlino.

I leader europei dovrebbero leggere un libro pubblicato nel 2022 da Nicholas Mulder, intitolato Economic Weapons, per scoprire pagina dopo pagina che le sanzioni - il cui fine era quello di prevenire i conflitti - sono diventate uno strumento di guerra i cui esiti sono a dir poco contraddittori: furono le riparazioni di guerra impossibili, decise dalla Conferenza di Parigi del 1919, a far decollare il regime di Adolf Hitler e innescare la Seconda guerra mondiale (leggere Le conseguenze economiche della pace, il libro profetico di John Maynard Keynes); fin dagli anni Ottanta, le sanzioni non hanno impedito all’Iran di sviluppare il suo programma nucleare (spianato dai bombardieri B-2, su ordine di Trump), tessere la tela del terrore contro Israele e minacciare (è accaduto anche pochi giorni fa) le capitali europee; stesso film radioattivo per la Corea del Nord che non solo ha costruito la Bomba, ma ha aumentato la pressione dei lanci di missili sul Giappone, costringendo Tokyo a cambiare la Costituzione per riarmarsi, e ha rifornito Mosca di armi e uomini da mandare a morire al fronte; quanto alla Russia, è la nazione più sanzionata al mondo, ma questo non ha impedito al Cremlino di ri-orientare l’export energetico verso la Cina, l’India e le economie energivore, quanto alla crescita economica, come ricorda il Council On Foreign Relations «il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che il prodotto interno lordo della Russia è effettivamente aumentato del 3,6% nel 2024, un tasso di crescita superiore a quello degli Stati Uniti e di molte altre economie occidentali, grazie alle ingenti spese belliche».

L’Orso russo ha i piedi d’argilla? Può darsi, le sorprese nella storia non mancano, l’economia sovietica a un certo punto implose, l’Armata Rossa si ritirò dall’Afghanistan (15 febbraio 1989) e otto mesi dopo (9 novembre 1989) crollò il Muro di Berlino dando il via alla dissoluzione dell’Urss. Ma il dato del presente (sul quale si devono basare gli scenari dei militari e le decisioni dei politici) dice che la Russia continua ad alimentare una dispendiosa guerra di logoramento che va avanti da 1.274 giorni. Il confine tra la guerra e la pace è sottilissimo, la pace è un obiettivo che si costruisce con umiltà, giorno dopo giorno, con grandi sforzi e sacrifici, realismo e intelligenza strategica. È di un uomo di pace, la frase più saggia che ho letto ieri, è quella di Papa Leone XIV che ieri ha rivelato di essere in contatto con i leader che seguono le trattative: «Qualcuno di loro lo sento continuamente. C’è speranza, ma bisogna ancora lavorare molto, pregare molto e trovare la strada per andare avanti». Come Trump, il Pontefice americano sta sul pezzo, altri fanno pericolosi voli di Icaro.