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Donald Trump ridistribuisce gli equilibri globali

Dal Medioriente all'Asia, il presidente degli Stati Uniti sta ridisegnando il mondo. Analisti e pseudo edotti nostrani dovrebbero più modestamente rivedere le proprie certezze
di Giovanni Sallustilunedì 13 ottobre 2025
Donald Trump ridistribuisce gli equilibri globali

3' di lettura

Donald Trump oggi ridisegna il mondo, analisti e pseudo edotti nostrani dovrebbero più modestamente rivedere le proprie certezze. A partire da una parola-magica: “isolazionismo”. Bastava pronunciarla nei talk show aggrottando le sopracciglia per figurare da esperto di politica a stelle e strisce, e nello stesso tempo stroncare l’Orco col toupè: è un “isolazionista”, prepara il declino americano. Voilà l’immagine del declino: stamattina il presidente americano atterra all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv, tiene un cruciale discorso alla Knesset in cui anticipa in casa dell’alleato indissolubile (diffidate dal tentativo della pubblicistica scornata di separare Donald da Bibi, please) la visione del nuovo Medio Oriente che scaturisce dal suo capolavoro politico e diplomatico, quindi vola in Egitto e mette la visione su carta con la firma ufficiale della pace insieme al mondo europeo e al mondo arabo-musulmano.

E così l’uomo della ritirata (che è esistito solo nelle caricature progressiste e in quei suoi opposti speculari che sono certi interstizi eccessivamente folkloristici del cosmo Maga) diventa l’Architetto del Nuovo Ordine. È questo il motivo profondo della frustrazione delle anime belle di questi giorni: il Trump autentico non coincide col Trump auspicato (da loro), anzi oggi implementa ufficialmente un’agenda che è un tentativo consistente di padroneggiare il disordine globale, ancora a indiscussa guida americana. Le coincidenze della storia non sono mai tali: l’ultimo Potus a intervenire davanti al Parlamento israeliano era stato George W. Bush. 

SCHEMA REALISTICO
L’America non smobilita, l’America si reinventa costantemente. Certo, quello di Trump non è l’interventismo esasperato e retrospettivamente viziato da eccesso di ottimismo volontaristico dei neocon (l’idea di «esportare la democrazia»). Piuttosto, il suo schema è quello realistico del Deal permanente, edificato su due paletti fondamentali. La pace attraverso la forza, che in Medio Oriente è stata soprattutto forza israeliana (con alcune significative eccezioni, la più spettacolare delle quali è stata la cancellazione tramite bombe Usa della minaccia nucleare iraniana).

E il commercio come leva geopolitica: questa è stata la chiave decisiva per rendere le monarchie sunnite soggetto attivo nei piani della ricostruzione e quindi nell’opera pressoria su (quel che rimaneva di) Hamas. I risultati strategici immediati sono: riesumazione e ampliamento sistemico degli Accordi di Abramo, con coinvolgimento di fatto dell’Arabia Saudita ed emarginazione definitiva del principale fattore di destabilizzazione ed esportazione di Terrore nella regione, l’Iran degli ayatollah (obiettivo che premeva anche a Erdogan, e Trump lo sapeva bene). Perfino più potenzialmente pregnanti sono gli scenari strategici a lungo termine.

Da tempo negli ambienti statunitensi che elaborano teoricamente il trumpismo (solo nella bolla italica si può pensare che questo fenomeno strutturale del nostro tempo viva di umori estemporanei) si scorge un grande asse geopolitico che va dalla potenza tecno-militare di Israele a quella economico -energetica dell’Arabia Saudita fino a quella economica, demografica, strategica dell’India. È una via dell’innovazione e del commercio chiaramente antitetica alla Via della Seta filocinese, e qui arriviamo al nocciolo incandescente della contemporaneità: la sfida per l’egemonia col Dragone comunista, di cui agli occhi di Trump tutti gli altri focolai sono subordinate da incastrare in un puzzle. La ritrovata assertività americana in Medio Oriente, addirittura il ridisegno strategico dell’area sul baricentro Usa, sono allora altrettanti messaggi a Xi Jin ping, con cui non a caso nelle stesse ore riesplode la tensione commerciale. L’isolazionismo non esiste, non c’è America di nuovo grande che non dia le carte nel mondo, parola a Donald, parola al mazziere.