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Migranti, "porti chiusi": la svolta di danesi e inglesi, la sinistra italiana è rimasta sola

di Fausto Carioti giovedì 11 dicembre 2025

4' di lettura

Ascoltare le «legittime preoccupazioni» degli elettori per l’immigrazione e agire di conseguenza «non è populismo, è democrazia». Frase che avrebbe potuto essere scritta da Giorgia Meloni o un altro esponente di destra, invece stavolta no. La firmano il premier britannico Keir Starmer e la sua collega danese Mette Frederiksen, che in Europa appartengono allo stesso schieramento di Elly Schlein e del Pd. Sul grande tema della nostra epoca, la sinistra italiana è sempre più isolata da quella continentale. La gran parte dei progressisti che governano, toccano la questione con mano e ogni giorno ne rispondono agli elettori, ha trovato un linguaggio comune con i leader moderati e di destra.

L’ultimo atto è questa lunga dichiarazione, scritta a quattro mani. Laburista Starmer e socialdemocratica Frederiksen: i loro partiti sono membri della famiglia europea dei Socialisti, la stessa del Pd. L’ha pubblicata The Guardian, quotidiano progressista inglese, e non è casuale che sia successo ieri. Nei giorni scorsi il consiglio dei ministri europei dell’Interno ha raggiunto l’accordo sulle nuove regole per i rimpatri degli immigrati irregolari: di fatto, il via libera all’adozione del “modello Albania” da parte di tutti i Paesi Ue. E proprio ieri la creazione di “hub” nei Paesi terzi perla gestione degli immigrati è stata proposta dal Consiglio d’Europa, l’organizzazione dei quarantasei Stati che hanno sottoscritto la Convenzione europea dei diritti dell’Uomo. In quella stessa sede, con un’iniziativa promossa da Carlo Nordio e altri ventisei ministri della Giustizia, inclusi quelli di Regno Unito e Danimarca, è stato fatto il primo passo per cambiare i criteri con cui la Corte europea dei diritti dell’Uomo interpreta la Convenzione quando giudica i casi d’immigrazione irregolare.

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Governi europei di ogni colore, insomma, hanno deciso che è il momento di riscrivere le norme e il modo in cui sono applicate, per rendere più facili le espulsioni degli stranieri che non hanno diritto di entrare e rafforzare i poteri dell’esecutivo rispetto a quelli dei magistrati nazionali ed europei. Starmer e Frederiksen, nel loro articolo, spiegano perché questa sia la cosa giusta anche per chi governa da sinistra. «Quando la fiducia nella capacità del governo nel confrontare le sfide di oggi vacilla», scrivono i due premier, «il nostro senso di appartenenza condivisa può cominciare a incrinarsi. Il cuore della questione è come affrontiamo la migrazione irregolare, e sappiamo che la risposta deve essere all’altezza della sfida». È il primo passo di ogni guarigione, quello che Schlein, Bonelli e compagni non riescono a fare: prendere atto che il problema esiste. Concedere asilo a persone che «fuggono realmente dalle persecuzioni» è doveroso, proseguono, ma «controllare chi arriva qui è un compito essenziale del governo, e ciò che il pubblico giustamente chiede». Ricordano i risultati raggiunti nei loro Paesi riducendo le concessioni d’asilo, aumentando le espulsioni e lavorando con gli altri Stati.

Quindi, il passaggio più importante: «L’attuale quadro legislativo dell’asilo è stato creato per un’altra epoca. In un mondo con mobilità di massa, le risposte di ieri non funzionano». Il mondo è cambiato «e i sistemi d’asilo devono cambiare con esso». Riconoscono che i cittadini dei loro Paesi «hanno chiesto interventi per decenni» e meritano una risposta. «Il modo migliore per combattere le forze dell’odio e della divisione», insomma le destre nazionaliste, «è dimostrare che la politica progressista mainstream può risolvere questo problema. Ascoltare le legittime preoccupazioni e agire di conseguenza è ciò di cui si occupa la nostra politica». Questo, sostengono in risposta a chi li accusa da sinistra, «non è populismo vuoto, è democrazia». E «se commetti reati gravi, perdi il diritto di rimanere. Questo non è un principio estremo: è buon senso». Sembra di sentire Giorgia Meloni quando scrivono che «dobbiamo smantellare le reti di trafficanti di esseri umani che sfruttano la disperazione».

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Per non vanificare questi sforzi della politica, però, deve cambiare anche l’approccio dei magistrati. Starmer e Frederiksen la presentano come «una modernizzazione dell’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo», affinché «possa evolversi per adeguarsi alle sfide del ventunesimo secolo». In sostanza, si tratta di ridefinire il ruolo della Corte di Strasburgo. È la stessa richiesta presentata ieri al Consiglio d’Europa da quei ventisette ministri. Concordata dalla premier danese con Meloni lo scorso maggio a Roma. Agli antipodi dei progetti dell’opposizione italiana, dove il pd Piero De Luca spera che a far saltare l’intesa sui nuovi regolamenti per i rimpatri provveda ora il parlamento europeo, il quale «non si è ancora espresso e dunque il testo può essere modificato». Si prepara il tentativo estremo di usare gli organismi Ue per smontare ciò che hanno deciso i governi nazionali, stavolta anche di sinistra.

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