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Albertini, faccia a faccia con Putin: "Vi racconto com'era e cosa l'ha rovinato"

di Gabriele Albertinidomenica 21 dicembre 2025
Albertini, faccia a faccia con Putin: "Vi racconto com'era e cosa l'ha rovinato"

10' di lettura

Il 31 dicembre del 1999, Eltsin si dimette a sorpresa. La costituzione prevede che il Primo ministro in carica, Vladimir Putin, da lui designato dal 9 agosto dello stesso anno, diventi Presidente ad interim della Federazione Russa. Le elezioni per la presidenza, sempre secondo la costituzione vigente, dovevano essere indette entro tre mesi, in conseguenza delle inopinate dimissioni anticipate di Eltsin.

Ciò dette un enorme vantaggio al futuro autocrate: gli consentì di cogliere con le brache in mano, come si dice in quel gergo militare a lui caro, i suoi principali antagonisti, che già si preparavano alla battaglia per la successione: il sindaco di Mosca Jurij Michajlovic Luzhkov (un sosia di Nikita Krusciov, che conobbi in un viaggio a Mosca di cui parlerò) e l’ex Primo ministro Evgeny Primakov. Il 7 maggio 2000, Putin giurò come Presidente della Federazione, dopo aver vinto le elezioni presidenziali del 26 marzo. Meno di un mese dopo il giovane e brillante ambasciatore della Federazione Russa in Italia, Nikolai Nikolaevich Spasskij, mi chiese un incontro.

IL MONDO LIBERO

Si presentò un uomo molto giovane per l’alto livello raggiunto nella gerarchia del corpo diplomatico del suo Paese, spigliato e di bell’aspetto, molto cordiale. Parlava un italiano fluente ed esordì dicendomi che si sentiva un po’ milanese, venendo spesso in città per motivi sentimentali: era fidanzato con una giovane professoressa della Bocconi. Ed ecco il motivo del colloquio: mi comunicò che Putin aveva deciso di fare il suo primo viaggio all’estero in Italia e desiderava incontrare a Milano, a Palazzo Marino, i rappresentanti dell’economia nazionale. Voleva dare un messaggio, attraverso Milano e l’Italia, all’intero Occidente, a tutti i potenziali investitori di quello che, nella Guerra fredda, chiamavamo “il mondo libero”. Il suo governo garantirà la legge, applicherà regole certe e le farà rispettare severamente nel difficile e complesso transito dall’economia pianificata dell’Urss al libero mercato della Federazione Russa, eliminando la nefasta influenza della mafia russa e degli oligarchi.

Mi chiese se fossi disponibile. «Certo che sono disponibile!», risposi. Anzi, ero entusiasta di ospitare nella sede del Comune un evento storico e di fare la mia parte, ancorché limitata dalla responsabilità di governo di una città, centro dell’economia italiana e non di una nazione, per collaborare all’ambizioso disegno del neo presidente. Di iniziare cioè un’era di collaborazione con quei Paesi che erano stati in conflitto per decenni, contro i quali i suoi predecessori sovietici avevano combattuto.

Fissammo la data: i primi di giugno del 2000. Il programma era chiaro: a Roma, “La Capitale”, il presidente avrebbe incontrato le istituzioni politiche, a Milano, “Il Capitale”, avrebbe aperto un colloquio con l’economia italiana. Propedeutico all’evento a Palazzo Marino, ci sarebbe stato un colloquio bilaterale con Putin, in occasione di un mio, imminente e già programmato viaggio a Mosca proprio ai primi di giugno, per accompagnare l’Orchestra Filarmonica della Scala, diretta dal Maestro Muti nella serata inaugurale di una tournée. Ne era informato nei dettagli, mentre io sapevo appena del mio viaggio a Mosca, il Kgb, poi Fsb, di cui Putin era stato direttore su nomina di Eltsin prima della sua folgorante ascesa politica: evidentemente avevano orecchi ed occhi attenti sulla mia agenda, più dei miei.
Mi sono spesso domandato, in quei giorni e negli anni successivi, quale fosse stata la ragione di questa scelta del leader del Cremlino: l’Italia e Milano come primo viaggio all’estero. Ho trovato risposte tutte convergenti e concorrenti ma non del tutto convincenti.

Alla fine del 2000 era a tutti noto che Silvio Berlusconi sarebbe ritornato al governo vincendo le imminenti elezioni del 2001, come, di fatto, avvenne. L’amministrazione milanese, nei tre anni trascorsi, guidata dal “Sindaco imprenditore scelto da Berlusconi” era concordemente riconosciuta come un esempio di buon governo, paradigma di quello che sarebbe avvenuto nell’Italia guidata dalla stessa coalizione e con lo stesso stile liberale e liberista, pragmatico, efficiente, in piena legalità, come si era visto nella metropoli milanese.

GEMELLAGGIO STORICO

Putin voleva, quindi, far sapere che stava investendo sul futuro politico di Berlusconi, visitando la città che era stata antesignana del suo stile e dei suoi programmi di governo. Putin aveva iniziato la sua carriera politica come Vice sindaco di San Pietroburgo, città gemellata con Milano, e, come ebbe poi a dirmi, non aveva dimenticato gli aiuti che il Comune di Milano aveva inviato alla città nei giorni drammatici del crollo dell’Unione Sovietica. Riconoscente e vendicativo, allora come ora. Ma l’ambasciatore Spassikij, milanese per ragioni di cuore, aveva dato qualche suggerimento? Il fatto che Putin volesse incontrare l’Italia degli imprenditori, nella città dell’imprenditoria, il cui sindaco era l’ex Presidente degli industriali metalmeccanici italiani, e perciò in buoni rapporti con il mondo confindustriale, poteva aver influenzato le sue decisioni? Possibile, certo, ma c’è qualcos’altro che mi sfugge.

Per descrivere l’incontro bilaterale con Putin, devo raccontare un fatto polemico accaduto nei giorni immediatamente precedenti con l’allora Presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Milano è concordemente riconosciutala capitale del volontariato: oltre il 17% dei Milanesi, dicono le statistiche, record nazionale, dedica più di due ore alla settimana ad attività sociali, culturali, gratuitamente. A Milano la Carta della Donazione, il primo codice di autoregolamentazione per le organizzazioni no-profit, ha avuto origine, grazie anche al contributo dell’Università Cattolica e delle fondazioni bancarie, Cariplo in testa e delle altri importanti Onlus e Ong che hanno sede a Milano. Naturale quindi  la nostra pretesa, più che richiesta, al governo D'Alema, che fosse insediata nella nostra città l'Autorità di controllo del no-profit.

STALIN E TOGLIATTI

Ne avevo parlato con D’Alema, aggiungendo che, anche il Cardinal Martini mi avrebbe accompagnato a “baciare la pantofola del Presidente del Consiglio”, in un incontro da tenersi a Palazzo Chigi ai primi di giugno, ove la scelta fosse caduta su Milano, come sede dell’agenzia. Alle positive assicurazioni verbali, seguì la decisione del governo di collocare gli uffici direzionali della costituita agenzia a Roma. Grande fu la mia delusione e la mia arrabbiatura, non solo perla scelta contraria alla realtà di Milan col coeur in man, ma anche per l’evidente irrisione di far intendere una cosa e di farne un’altra. Meditai una adeguata ritorsione.

Mentre, in aereo, viaggiavo verso Mosca pensando a che cosa avrei detto a Putin, mi venne un’idea molto terrestre e concreta: avrei offerto al “nipote di Stalin” ciò che aveva rifiutato il “nipote di Togliatti”. I prestigiosi uffici in Galleria Vittorio Emanuele che avrebbero dovuto ospitare l’authority del Terzo settore sarebbero stati, invece, la sede della costituenda Fondazione Italia-Russia, composta da istituti bancari ed imprese lombarde che già avevano investito in Russia o si proponevano di farlo, istituzioni del commercio estero, naturalmente il Comune ed altri, con l’oggetto sociale di favorire e sviluppare gli scambi culturali ed economici tra i nostri Paesi.

Arrivato a Mosca, incontrai il Sindaco Luzhkov, che, al termine dello scambio di vedute sulle nostre città, mi propose un tuffo nella Neva, per diventare, come lui, membro ad honorem del Club dei Trichechi (anche se per farne parte a pieno titolo, occorreva immergersi nelle acque ghiacciate, in pieno inverno). Con tutto il garbo di cui son capace, rifiutai. Ebbi anche colloqui con altre autorità della città e della regione e finalmente, mi recai al Conservatorio di Mosca, accompagnato dall’Ambasciatore d’Italia Aragona e da sua moglie, dove l’Orchestra Filarmonica della Scala, diretta dal Maestro Muti, aveva in programma un concerto. Lì era previsto ma non assicurato un bilaterale con Putin. Per puro caso, una data particolarissima: il 2 giugno del 2000, festa della Repubblica Italiana.

LO SGUARDO ASSASSINO

Seduto in platea, mentre stava per cominciare il concerto ancora non c’era nessun cenno di un’augusta presenza. Soltanto, appena prima delle iniziali note d’orchestra, un impercettibile tramestio nel palco delle autorità. Nell’intervallo, dopo una splendida esecuzione di musiche di Tchaikovsky, Rachmaninov ed altri musicisti russi, intravidi avvicinarsi da un’ingresso laterale quattro armadi vestiti di nero che, con passo militare, puntavano direttamente a me.

Ebbi un attimo di smarrimento: le cimici nella suite che m’ospitava o in altri luoghi avevano captato qualche mia frase inopportuna, qualche parola al telefono aveva irritato le autorità ex sovietiche? Forse ero destinato all’internamento in un Gulag siberiano? Venni immediatamente rasserenato dallo sguardo sorridente e soddisfatto di Andrea Vento, responsabile delle relazioni internazionali del Comune, che, intercettato il minaccioso quartetto, era stato informato che il presidente m’invitava a raggiungerlo sul palco. Ricordo, udite queste parole, lo sguardo costernato dell’ambasciatore Aragona, che cercava conforto negli occhi amorevoli di sua moglie. Forse, indovino i suoi pensieri: «Ma allora, lo incontra davvero! Niente di personale, non ce l’ho con Albertini, non posso sottrarmi dall’accompagnarlo, sarebbe un segnale sgradevole, ma cosa scrivo nel rapporto al Ministro degli Esteri (Dini), al Presidente del Consiglio (D’Alema), che leggerà anche il Presidente della Repubblica (Ciampi)? Un sindaco, soltanto un sindaco, per di più di centrodestra, precede le più alte cariche dello Stato, per di più di diverso colore politico, una scorrettezza protocollare inenarrabile! Ma tant’è...».

Messo al cospetto del Presidente, incrociai lo sguardo di un assassino. Occhi gelidi, inespressivi, volto impassibile. Perfino l’accenno di un sorriso, al momento della stretta di mano, mi comunicò inquietudine più che sollievo. Mi sentì una “cosa” da osservare, niente di più.

L’INCONTRO

Deglutii e mi accinsi ad esporre la proposta che avevo pensato durante il viaggio in aereo: «Presidente, non ho parole sufficienti per esprimere la mia gratitudine per quest’incontro così inusuale e per me molto gratificante. Mi onora la sua decisione di scegliere il mio Paese e la mia città come suo primo viaggio all’estero da Presidente della Federazione Russa. Proprio perché le mie parole non bastano e non basterebbero, anche se mi sforzassi di trovarne altre, esprimerò la mia riconoscenza con un gesto, un atto concreto: è mia intenzione, se il progetto incontrerà il suo favore, di costituire una Fondazione Italia-Russia, ospitata in una sede prestigiosa, in spazi di proprietà comunale, che s’affacciano sulla Galleria Vittorio Emanuele II, chiamata da tutti “il salotto di Milano”, allo scopo di favorire gli scambi economici e culturali e sviluppare l’amicizia e la collaborazione tra i nostri Paesi. Come lei sa, San Pietroburgo e Milano sono città gemellate, legate dalla fraterna amicizia che non abbiamo mancato d’esprimere, con aiuti concreti, quando il crollo dell’Urss causò tanti disagi e sofferenze alla popolazione civile della sua città. Lei ha cominciato la sua folgorante carriera politica, che la porta oggi ai massimi vertici dello Stato, da Vicesindaco di San Pietroburgo. Mi piace pensare, e mi perdoni l’ardire, che richiamandomi a questa circostanza oggi potremmo sentirci un po’ colleghi, rigenerando la benefica concretezza d’allora, in questa nuova forma d’amicizia e collaborazione che parte da Milano e San Pietroburgo e s’allarga ai nostri grandi Paesi e forse, come credo nelle sue intenzioni, da Milano e dall’Italia si potrà espandere all’intero Occidente». Mentre parlavo ed il traduttore sussurrava ciò che stavo dicendo, notavo una progressiva, sorprendente metamorfosi: quella glaciale espressione del volto della prima occhiata, che tanto m’aveva intimidito e inquietato, era diventata quella di un compagno di scuola e di un amico sincero che s’incontra dopo alcuni anni e sembra che quel rapporto di gioventù non si sia mai interrotto. Quest’uomo, per attitudine ed esperienza professionale capace di discernere il traditore dall’amico a prima vista, aveva, infallibilmente, colto la mia sincerità e lealtà.

Senza alcun indugio, la sua risposta fu immediata: «Ricordo bene quegli anni difficili e l’amicizia di Milano. La sua è un’eccellente proposta per dare significato al mio viaggio, almeno per i rapporti con l’Italia. Le nostre economie sono fatte per incontrarsi: la sterminata estensione territoriale del nostro Paese ci fa ricchissimi di materie prime e tra i principali esportatori di gas ed idrocarburi. Voi siete il secondo paese manifatturiero d’Europa e Milano è la capitale economica dell’Italia. Darò immediate disposizione al Ministro degli Esteri Ivanov perchè questo suo programma trovi la più completa collaborazione da parte di chi, della Federazione Russa, dovrà occuparsi della fase operativa».

IL PROGETTO

In effetti, meno di una settimana dopo, quando Putin venne a Milano, era già pronto un accordo per sviluppare il progetto in concrete attività di collaborazione. Nominai Presidente della fondazione Rosario Alessandrello, ahimè compianta vittima del Covid, amico personale di Putin, come ebbe a dire nell’intervento a Palazzo Marino e grande manager, con una lunga esperienza di rapporti Italia Russia. Aderirono alla fondazione le principali aziende italiane e le primarie banche e ricordo che l’Onorevole Valentino Valentini, presente al primo incontro tra Putin e Berlusconi, lo sentì citare l’esperienza di Milano, come paradigma di ciò che avrebbe voluto avvenisse con l’Italia tutta. Il seguito lo conosciamo: il rapporto con Silvio Berlusconi fu più che amichevole, ricordate le vacanze di Putin e la sua famiglia a Villa Certosa, in Sardegna? E lo sviluppo d’intensi rapporti di collaborazione economica e politica tra Italia, Russia ed Occidente, culminati nello storico G8 di Pratica di Mare, guidato da Silvio Berlusconi, che si concluse con una storica intesa tra Stati Uniti e Russia? La fine della Guerra fredda ed una nuova era di collaborazione per annientare il terrorismo islamico, dopo il tragico attentato dell’11 settembre, con la creazione di un Consiglio di consultazione permanente tra Nato e Russia?

COME HITLER

Ventisei anni dopo sembra passato un secolo. Ben altri esperti di geopolitica di chi scrive sapranno spiegare ciò che è successo e sta succedendo. Io concludo con una personalissima osservazione, per quel che vale, e una notazione, per così dire, psicopolitica. Per quel che vale, il Putin che ho conosciuto era un uomo con solidi principi etici, un patriota e un politico, per quanto possa esserlo un politico, sincero ed animato dalle migliori intenzioni. Ventisei anni di potere sostanzialmente ininterrotto e divenuto assoluto lo hanno cambiato: la ubris della tragedia greca si è impossessata della sua anima.
È uscito dalla dimensione della pratica politica, sia pure al livello di un Capo di Stato, per entrare nella dimensione messianica. Il riferimento al 3° Reich di Hitler, dopo l’incendio del Reichstag e fino al bunker della Cancelleria, non vuole essere offensivo, solo comparativo per questo aspetto: entrambi si considerano esecutori di un disegno ultraterreno. Uso il presente per entrambi, anche se dovrei usare il passato per il Führer, che lo consegna alla storia, ignorando la realtà delle cose, perché si ritengono capaci di farle avvenire, secondo i loro volere.