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"Lasciate morire Sharon"

Polemiche in Israele

Dario Mazzocchi
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Ariel Sharon, l'ex Primo ministro e generale israeliano, è ormai in coma da tre anni: il 4 gennaio 2006 venne colpito da una grave emorragia celebrale che lo relegato al letto di un ospedale, nonostante due operazioni. Pochi giorni dopo è uscito dal coma farmacologico, ma non si è mai ripreso. E così, a tre anni di distanza, l'associazione di consumatori Ometz ha attaccato i figli dell'ex premier perché si oppongono al trasferimento del padre a casa, ripetendo che vogliono che Sharon rimanda all'ospedale Sheba di Tel Aviv. L'associazione, tra le altre cose, ha accusato in particolare uno dei figli, Gilad, uomo d'affari, che trasformerebbe una delle stanze dell'ospedale in un ufficio per ricevere regolarmente clienti ed amici. Da tempo Ometz cerca di spingere amministratori e medici perché chiedano alla famiglia di riportare a casa Sharon, sostenendo che può essere tranquillamente assistito da personale specializzato, riducendo i costi per la sanità pubblica. “Con tutto il rispetto dovuto a un uomo che ha dato tanto al Paese – si domandando quelli dell'organizzazione -, perché non portarlo nel suo ranch del Negev, dov'è sufficiente un'infermiera? Perché l'ospedale deve sopportare i disagi dovuti alla presenza di tanti poliziotti? Perché quella stanza non può essere data a chi ne ha più bisogno?”. I medici dell'ospedale non sono del tutto contrari a questa opportunità e in Israele circolano già voci per le quali si tratterebbe di un invito a lasciar morire l'ex condottiere israeliano. I figli non ne vogliono proprio sapere e Ariel, per il momento, rimarrà dov'è.

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