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Il Ranger Chuck Norris:

mi candido per il Texas

Albina Perri
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Chuck Norris è il Texas: burbero, pragmatico e sceriffo. O meglio, Chuck Norris è il Texas Ranger per eccellenza, quello che ogni sera compare sulle televisioni italiane (su Rete 4, ad essere precisi) con quella barba che fa da contorno all'espressione che è tutto un programma. Chuck Norris ama il suo Paese, è un conservatore duro e puro che, durante le primarie repubblicane per scegliere quello che poi sarebbe diventato il rivale di Barack Obama alla presidenza degli Stati Uniti, aveva preferito a tutti Mike Huckabee, governatore del Kansas. Uno che di mestiere fa pure il pastore battista nel Sud della nazione a stelle e strisce. E anche questo è tutto un programma. Settimana scorsa Norris era ospite di una delle trasmissioni più seguite in Texas, il “Glenn Beck's radio show” dove si parlava di governo, Stati Uniti e, ovviamente, di Texas. Tema centrale del dibattito erano i confini del governo, perché in America sono tutti (o quasi) convinti che meno Stato c'è, meglio si sta. Che lo Stato deve proteggere i cittadini e non infilarsi maleducatamente nelle loro vite. Che, come disse Patrick Henry, giovane protagonista della Rivoluzione americana, “la costituzione è uno strumento per la sua gente per trattenere il governo”. Purtroppo, a detta dei due, le cose sono cambiate, ma la nazione saprà risollevarsi e da dove partirà questo sussulto di gloria? Dal Texas, da dove altro poteva partire? Texas, arrivo! - Così Chuck, mentre assentiva all'affermazione di Glenn Becks, si è lasciato scappare pure un “potrei pure candidarmi per la presidenza del Texas”. Poteva essere un'affermazione istintiva, in realtà il Texas Ranger non ha alcuna intenzione di fare un passo indietro e lo scrive sul WorldNetDaily, un giornale on line di orientamento conservatore che ama definirsi un “free press for free people”. Norris è uno degli editorialisti e ha sfruttato la sua posizione per ammettere che crede davvero in quanto affermato alla radio. Nell'articolo passa in rassegna le frasi dei padri che hanno scritto la costituzione, sottolineando i peccati nei quali è caduto il governo di Obama: come quegli aiuti dall'ammontare di 900 milioni, appartenenti agli americani che hanno pagato le tasse, ed ora destinati alla Striscia di Gaza, “controllata da Hamas. Oppure le strategie che forniscono maggiore potere ai partiti e non ai cittadini, con la mani bucate in materia di spesa pubblica. O, peggio ancora, la reinterpretazione della storia religiosa americana, con una società talmente secolarizzata da non riconoscere più se stessa. L'avvertimento ai politicanti di Washington - Norris mette in guarda il governo di Washington parlando di seconda Rivoluzione americana, perché “we the people”, noi i cittadini abbiamo la Dichiarazione di indipendenza dalla nostra parte. E allora via alla celebrazione del ricordo della 173esima commemorazione della battaglia di Alamo, combattuta da texani e messicani il 6 marzo 1863: gli uomini comandati dal colonnello William B. Travis furono battuti dall'esercito del Messico, ma combatterono fino alla morte contro gli oltre 2.000 soldati del generale Santa Anna. Caddero 189 patrioti contro 1.600 invasori, dopo due settimane di assedio. Persero la battaglia, ma diedero l'ispirazione per vincere la guerra, commenta Norris. Che così avverte i politicanti di Washington: state attenti, perché se pensate che ormai l'animo della costituzione è morta, allora ricordate Alamo. Chissà se a Obama verranno i capelli bianchi per la paura.

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