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Il Dalai Lama attacca la Cina

Ha portato l'inferno in Tibet

Albina Perri
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Nel giorno in cui viene celebrato il 50° anniversario della prima rivolta contro il regime comunista, il Dalai Lama ha protestato contro il governo di Pechino che ha portato “l'inferno sulla terra” e, in particolare, nel martoriato Tibet. In un messaggio diffuso via internet, il leader spirituale ha voluto ripercorrere la storia recente del Tibet, chiedendo a gran voce, per l'ennesima volta, “un'autonomia legittima e significativa” per il proprio territorio. Non una piena indipendenza, quindi, ma certamente un'ampia sfera di libertà. Poi l'accusa a Pechino per aver provocato la morte di “centinaia di migliaia” di tibetani. Quella nei confronti della Cina è una “paura costante” per colpa della lunga serie di “campagne violente e repressive”, imponendo leggi marziali e addirittura programmi di rieducazione che hanno provocato una sofferenza profonda. Il governo di Pechino ha risposto immediatamente alle accuse, affermando di non voler commentare le “menzogne” del Dalai Lama: “Il Tibet, con il governo cinese, ha goduto di profonde riforme”, è la posizione dei governanti. Ma ieri più di cento monaci del monastero tibetano di An Tuo, nella provincia cinese di Qinghai, sono stati arrestati dopo una manifestazione tenuta in occasione del capodanno tibetano, celebrato il 25 febbraio , mentre il presidente cinese Hu Jintao ha esortato i funzionari tibetani a erigere una nuova “Grande muraglia contro il separatismo”. Gli arresti sono stati 109 sui circa 300 monaci che vivono abitualmente nel monastero. I monaci di An Tuo hanno spiegato che martedì, cinquantesimo anniversario della rivolta tibetana conclusa con la fuga in India del Dalai Lama, potrebbero verificarsi altre manifestazioni.

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