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Inger Støjberg, l'ex ministro sbattuta in galera per aver salvato le spose-bambine dall'islam: il caso che scuote l'Europa

Andrea Morigi
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L'ex ministro dell'Immigrazione e dell'Integrazione danese, la 47enne Inger Støjberg si becca due mesi di carcere per aver disposto la separazione di due migranti siriani sposati, in quanto la moglie era minorenne. Un provvedimento adottato nel 2016, che cinque anni dopo è costato caro alla donna, già esponente di punta del partito Venstre (che in lingua danese, letteralmente, significa "Sinistra"), ma che era inteso a prevenire i matrimoni forzati e a impedire il ripetersi di rapimenti e delitti d'onore. Troppe ragazzine immigrate da Paesi islamici erano scomparse improvvisamente senza lasciare tracce. Da alcune, che si erano messe in contatto con le compagne di scuola, era trapelato che erano state condotte con l'inganno nei Paesi d'origine e costrette a sposare cugini o uomini ben più anziani di loro, in seguito a un accordo fra le famiglie. Così, a Copenaghen erano subito corsi ai ripari, impedendo i matrimoni di minorenni e vigilando sulle comunità straniere.

 

 

IL TRIBUNALE SPECIALE
Il ministero della Støjberg inoltre aveva stabilito nel 2016 di alloggiare separatamente tutti i richiedenti asilo sposati, se uno dei coniugi era minorenne, in una decisione che aveva riguardato 23 coppie. A ogni azione politica, tuttavia, ne corrisponde un'altra uguale e contraria, per una sorta di riflesso sociale della legge di Archimede. Così, un sussulto tipicamente scandinavo del politicamente corretto aveva provocato un'ondata di sdegno per la presunta crudeltà della divisione fra familiari e aveva condotto a ricorsi legali. Per sommo di scrupolo, le opposizioni erano andate a ripescare nei vecchi codici un istituto utilizzato appena sei volte in tutta la storia danese e soltanto due nell'ultimo secolo: addirittura un tribunale speciale previsto per i casi di abuso d'ufficio. così, quando il Parlamento, nello scorso febbraio, aveva dato il via libera alla procedura di impeachment nei confronti della responsabile delle politiche migratorie, la trappola giuridica era già pronta a scattare.

 

 

La quasi totalità della corte speciale - 25 dei 26 giudici- ha ritenuto che l'ordine del 2016 fosse illegale e che l'ex ministro abbia «trascurato intenzionalmente i doveri del suo ufficio» e «fornito al parlamento informazioni errate o fuorvianti». Solo uno di loro si è espresso per l'assoluzione, ha detto il presidente della Corte, Thomas Rordam. L'accusa aveva chiesto quattro mesi di carcere. Stojberg non avrà nemmeno il diritto di presentare appello e si è detta «molto, molto sorpresa del verdetto». Ma non si dà per vinta: «Hanno perso i valori danesi», ha dichiarato ieri, annunciando che sconterà sì la pena, ma «senza chinare il capo». Anche se nel frattempo la dovessero destituire perfino da parlamentare, come sembra debba accadere entro breve tempo. Dopo aver abbandonato Venstre, che l'aveva a sua volta abbandonata, la Støjberg sta pensando di aderire al Dansk Folkeparti, il Partito del Popolo Danese, che è dichiaratamente di destra, conta circa il 10% dei parlamentari danesi ed è pronto ad accoglierla a braccia aperte.

 

 

LA SHARIA CHE AVANZA
Il panorama politico di Copenaghen, tuttavia è molto composito e comprende anche deputati come Sikandar Siddique, Verde indipendente, che ha avanzato proposte di legge volte a punire gli atti di blasfemia odi diffamazione delle religioni con quattro mesi di reclusione. Un'eventualità che, proa prio nel Paese in cui scoppiò il caso internazionale delle vignette satiriche su Maometto, pubblicate nel 2006 dal quotidiano Jyllandsposten, farebbe temere un drammatico arretramento della libertà d'espressione. La galera, sia per chi cerca di porre un freno all'invasione di migranti e sia per chi offende Allah, equivarrebbe a un avanzamento a grandi passi della legge islamica all'interno del sistema giuridico danese. Ma il governo socialdemocratico guidato da Mette Fredriksen non sembra molto disposto ad accettare un epilogo del genere. 

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