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L'Azerbaigian annette una fetta d'Armenia, l'ombra di Erdogan: cosa sta succedendo

Andrea Morigi
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Nel Caucaso le guerre non finiscono mai. Ma tra armeni e azeri scorre sangue da almeno un secolo nella regione del Nakhchivan, attualmente un'exclave della Repubblica dell'Azerbaigian, stretta fra l'Armenia, l'Iran e soprattutto, attraverso una sottilissima lingua di terra, la Turchia. E ora nell'area sta aumentando la tensione perché, con i prezzi del gas in risalita, è tornato in auge un vecchio e mai abbandonato progetto di gasdotto che colleghi il Mar Caspio e il Mediterraneo, attraverso l'Anatolia. Solo che c'è di mezzo la regione autonoma del Nagorno-Karabakh, repubblica armena autoproclamatasi indipendente nel 1991 con il nome di Artsakh. Coperti dal frastuono mediatico dell'invasione russa dell'Ucraina e delle tensioni fra Stati Uniti e Cina nell'Oceano Pacifico, gli azeri hanno messo le mani avanti e hanno già conquistato alcune alture del territorio "ribelle". L'operazione militare, denominata «Vendetta», secondo il ministero della Difesa azero è una risposta ai sabotaggi commessi da soldati armeni contro le forze armate azere in violazione degli accordi trilaterali tra Baku, Erevan e Mosca.

 

 

 

SCONTRI AL CONFINE

«Nell'ambito dell'operazione, diverse postazioni di combattimento» delle milizie dell'Artsakh «sono state distrutte ed è stato effettuato un attacco aereo contro l'unità militare nell'insediamento di Yukhari Oratag nell'ex regione di Aghdara (ora parte del distretto di Ter Ter)», ha reso noto un portavoce del dicastero azero. La violenza dell'attacco condotto dalle forze di Baku con droni ha portato alla morte di almeno due uomini dei separatisti filo armeni e al ferimento di altri 14. Oltre alle vittime tra i miliziani, Baku rivendica la distruzione di «diversi obici D-30, veicoli militari e una grande quantità di munizioni». «Attualmente le nostre unità stanno conducendo lavori di ingegneria per la costruzione di nuove posizioni e la realizzazione di collegamenti di sicurezza», ha aggiunto il portavoce. La ricostruzione dei fatti che arriva invece da Erevan attribuisce le responsabilità delle tensioni all'esercito dell'Azerbaigian, che già il primo agosto avrebbe «iniziato una serie di provocazioni» nelle aree di confine «a nord e nordovest della Repubblica di Arsakh», proseguendo anche nei giorni successivi. Le unità azerbaigiane avrebbero lanciato «un attacco con droni», che avrebbe portato alla morte di due soldati e a 14 feriti tra le fila dei separatisti. Proprio dalla Russia, che sarebbe in teoria garante del cessate il fuoco fra le parti in conflitto, ed è schierata con l'Armenia, arriva una versione diversa dei fatti: «La situazione nella zona di responsabilità del contingente è aggravata. Nella zona dell'altura di Sarybaba, il regime di cessate il fuoco è stato violato dalle forze armate dell'Azerbaigian. Il comando del contingente di peacekeeping russo, insieme a rappresentanti della parte azerae armena, sta adottando misure per stabilizzare la situazione», ha affermato il ministero della Difesa russo. L'opinione pubblica mondiale non s' è nemmeno accorta della crisi in corso. È una zona d'influenza russa. Le cancellerie occidentali, quindi, fanno finta di nulla. L'Europa lascia fare, visto che ha bisogno di gas dall'Azerbaigian e l'Armenia è alleata di Mosca.

 

 

 

SCHIERAMENTI

Soltanto il segretario di Stato americano Antony Blinken ha spiegato al ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che gli Stati Uniti sono pronti a «impegnarsi a livello bilaterale», con partner che abbiano la «stessa visione», e attraverso il proprio ruolo come co-presidenti del Gruppo di Minsk (Osce Minsk Group) per «facilitare il dialogo» tra Azerbaijan e Armenia e contribuire a raggiungere una «soluzione politica a lungo termine» per il conflitto. In linguaggio diplomatico, significa che Washington non porrà ostacoli alla riunificazione dei territori turcofoni, per quanto siano parte di un disegno panturanico condiviso dai presidenti della Turchia Recep Tayyp Erdogan e dell'Azerbaigian, Ilham Aliyev, non meno che dai movimenti nazionalisti come i Lupi Grigi. Li avevano già lasciati fare nel 2021, quando gli azeri avevano conquistato le città armene di Shusha e Klebajar con l'appoggio militare turco. In cambio, le aziende turche si erano aggiudicate diversi contratti di infrastrutture, tra cui la costruzione di nuove strade verso i territori conquistati. Lo stesso potrebbe avvenire per raggiungere Nakhchivan, dove la maggior parte della popolazione è di etnia azera. Anche se la sua conquista da parte di Baku equivarrebbe a chiudere le vie di comunicazione via terra fra l'Armenia e l'Iran, che condividono 44 km di confine essenziali ad aggirare le sanzioni occidentali nei confronti di Teheran. Senza contare che dal 2006 fra i due Paesi corre un gasdotto della lunghezza di 140 chilometri. Difficile che Teheran non corra in soccorso di Erevan, in caso di necessità, anche per difendere i propri interessi nella regione. Ma la partita di Risiko è ancora da giocare. Guarda caso, giovedì un gruppo di musulmani sciiti ha invaso l'ambasciata azera a Londra, ufficialmente per protestare contro l'arresto di alcuni loro militanti a Baku e l'abolizione della festività di Muharram. Anche se sembra un pretesto.

 

 

 

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