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Ursula von der Leyen vuole il bis: ecco perché ha bisogno della Meloni

Fausto Carioti
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Ursula von der Leyen ha bisogno di Giorgia Meloni almeno quanto la premier italiana ha bisogno di lei. Il motivo si può riassumere in due numeri: 27 e 81. Il primo sono gli europarlamentari che, se si votasse oggi, Fdi avrebbe nel nuovo europarlamento. Il secondo sono gli eletti che dovrebbe avere l’intero gruppo dei Conservatori europei, Ecr, che include Fdi e fa capo sempre alla Meloni. Numeri importanti, che se la presidente del consiglio accetterà di entrare nella prossima maggioranza Ue, come tutto fa credere, potranno essere decisivi per la scelta del presidente della commissione, anche se non tutti i partiti conservatori la seguiranno.

A guidare l’esecutivo europeo aspira ancora una volta la von der Leyen, che dovrebbe vedersela col connazionale Manfred Weber, presidente del Ppe, lo stesso partito della presidente uscente. Anche grazie alla mediazione di Antonio Tajani, Weber ha tessuto un ottimo rapporto con la Meloni, ma la von der Leyen non ha intenzione di farsi scavalcare.

All’Italia interessano due cose: aiuto per fermare l’immigrazione illegale dall’Africa e una riforma del Patto di stabilità europeo che non costringa a tornare ai tempi bui dell’austerity. E la von der Leyen qualche carta da giocare ce l’ha. Si spiega così il messaggio che ieri ha fatto inviare a Roma dai suoi portavoce: «La commissione continua ad essere molto preoccupata per l’aumento degli arrivi nel Mediterraneo centrale e in particolare in Italia. È consapevole della pressione sul sistema di accoglienza in Italia, l’ha sostenuta nell’affrontare le sfide migratorie ed è pronta a farlo ancora». Dopo i 14 milioni di euro stanziati di recente per Lampedusa, da Bruxelles possono arrivare quindi altri fondi “extra”: «La commissione è pronta a sostenere ulteriormente l’Italia. Le risorse aggiuntive nell’ambito dell’assistenza alle emergenze possono essere utilizzate anche per progetti negli Stati sottoposti a forti pressioni».

Va da sé che i soldi sono un palliativo in attesa di una soluzione che può venire solo bloccando le partenze dall’Africa. Le speranze italiane sono riposte nella bozza del nuovo regolamento “asilo e migrazione” approvata a giugno dal consiglio Ue dei ministri dell’Interno e della Giustizia. Lì è prevista la creazione di un fondo europeo, gestito dalla commissione, per i Paesi di origine e transito degli immigrati, ossia per gli Stati africani dai quali provengono quasi tutti gli sbarcati in Italia: è la logica che ispira il memorandum firmato il 16 luglio a Tunisi e il “piano Mattei” della Meloni. Elì è previsto anche l’obbligo, per tutti gli Stati membri della Ue, di accogliere una quota di immigrati o, in alternativa, di pagare 20mila euro per ogni rifiutato.

Polonia e Ungheria si sono opposte (la prima è governata da Mateusz Morawiecki, alleato europeo della Meloni, e la seconda da Viktor Orbán). La strada per vedere approvata la bozza sarà lunga: molto dipenderà da Spagna e Belgio, cui spetta la presidenza del consiglio Ue nei due semestri prima del voto. Ma in questa partita la von der Leyen è dalla parte del governo italiano, e ci tiene a farlo sapere.

 

 

 

IL GIOCO DELLA LEGA

Non è un caso, insomma, che ad attaccare la commissione per le dichiarazioni di ieri sia stata la Lega, che non entrerà nella futura maggioranza. «L’Unione europea continua a prendere in giro il Paese», dice l’europarlamentare leghista Paolo Borchia. Mentre Tommaso Foti, capogruppo di Fdi alla Camera, fa un ragionamento molto diverso e spiega che il modello del memorandum Ue con la Tunisia «è vincente, ma ci vuole tempo perché sortisca gli effetti sperati».

La mediazione della von der Leyen sarà necessaria anche nell’altro negoziato, quello per la revisione del patto di stabilità. La proposta presentata dalla commissione ad aprile ha scontentato, per ragioni diverse, sia i tedeschi e gli altri “rigoristi”, sia gli indebitati come noi. La Meloni chiede una cosa che al momento non è prevista, ossia scomputare dal calcolo del rapporto debito-Pil gli investimenti che la Ue ritiene «strategici»: quelli per la transizione verde, la transizione digitale e la difesa (visti anche gli sforzi che si stanno facendo per sostenere l’Ucraina).

 

 

 

In questo caso gli alleati di governo la pensano come lei. «Dobbiamo impedire che il patto di stabilità porti alla recessione e al blocco dell’economia europea», dice Tajani, che chiama in causa il commissario Ue Paolo Gentiloni: «Faccia la sua parte per tutelare l’interesse italiano». E va da sé che, se la trattativa su un tema così importante andasse male, affonderebbe anche l’ipotesi di vedere la premier italiana sostenere le ambizioni della von der Leyen.

 

 

 

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