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Eric Zemmour, l'alleato di FdI che terrorizza il Pd in Europa

 Zemmour

Mauro Zanon
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Era il gennaio del 2022 quando un giornalista, in un incontro con la stampa estera in un palazzo parigino, gli chiese in quale altro Paese si trasferirebbe nel caso in cui la situazione in Francia diventasse insostenibile.

E lui, Éric Zemmour, ex giornalista del Figaro, autore di bestseller da 500mila copie e candidato alle presidenziali francesi con il partito Reconquête, non esitò un solo secondo: «Non ci sono dubbi, in Italia. È il Paese del bello. I paesaggi sono sublimi, le città sono magnifiche. L’Italia ha insegnato tutto alla Francia: l’arte, la politica... Incarna, con il mio Paese, la civiltà europea. Amo il popolo italiano, la loro ironia, l’umorismo, la loro autoderisione, lo sguardo sempre distante sulla storia. Non passano il tempo a reclamare una ricompensa a tutti i popoli che li hanno conquistati. Mi piace la loro intelligenza, il cinema, la gastronomia, la bellezza delle donne italiane».

 

 

Nei giorni in cui il Movimento 5 Stelle e la stampa progressista strumentalizzano una dichiarazione in televisione del presidente di Reconquête e neoalleato del premier italiano Giorgia Meloni nel gruppo dei conservatori europei (Ecr) sul Nord Italia e il suo passato francese, è bene ricordare quanto Zemmour, in realtà, abbia una sincera ammirazione verso il nostro Paese, che considera uno degli ultimi baluardi della civiltà europea, dove l’islamismo è ininfluente, il politicamente corretto non è soffocante come a Parigi e il wokismo non ha messo radici nelle università e nei musei, insomma un modello che la Francia dovrebbe seguire.

L’entrata in Ecr di Réconquête, che sarà rappresentato dal vicepresidente Nicolas Bay, è il punto di arrivo di un percorso iniziato nel dicembre del 2021 quando Zemmour, assieme alla giovane Marion Maréchal, ex deputata frontista, decise che era giunto il momento di creare una nuova formazione sovranista, concorrente a Marine Le Pen e al suo Rassemblement national, giudicati troppo tiepidi e moderati per una Francia che ha bisogno di una nuova “révolution” per contrastare quella che l’intellettuale conservatore Renaud Camus ha definito la “Grande Sostituzione” etnico-identitaria. In soli cinque mesi, Zemmour è riuscito a issare il suo partito al quarto posto delle elezioni presidenziali (7,07 per cento dei voti, pari a quasi 2,5 milioni di persone), davanti al partito gollista, i Républicains.

 

 

E in vista delle elezioni europee, il sorpasso sulla destra che fu di Sarkozy potrebbe confermarsi. Figlio della banlieue parigina (è nato a Montreuil, a est della capitale, nel 1958) e di due “pieds noirs”, come venivano chiamati i francesi che fuggivano dall’Algeria decolonizzata per posare le loro valigie sui marciapiedi dell’Esagono in cerca di riscatto e libertà (il padre, morto nel 2013, era un autista di ambulanze, la madre ha fatto sempre la casalinga ed è la figura più importante della sua vita), Zemmour si definisce un “ebreo berbero” e ha due miti: Napoleone Bonaparte e Charles de Gaulle. Si è fatto le ossa come giornalista politico, prima al Quotidien de Paris poi al Figaro di cui è stato per più di vent’anni la firma di punta. Ma è da scrittore che si è fatto amare dai francesi, cannoneggiando contro i benpensanti e i difensori del multiculturalismo, i principali colpevoli del “Suicidio francese” (uno dei suoi bestseller). Nel 2021, il magnate bretone Vincent Bolloré lo ha voluto a Cnews, rete all-news del gruppo Canal Plus, come opinionista, battendo ogni record di share. Nel 2027 lo vorrebbe all’Eliseo.

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