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Ursula Von der Leyen apre a Meloni e i socialisti la ricattano

Fausto Carioti
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Ursula von der Leyen e i Popolari europei aprono la stanza dei bottoni di Bruxelles a Giorgia Meloni, i Socialisti rispondono minacciando di non appoggiare von der Leyen alla guida della Commissione che nascerà dopo il voto di giugno. E siccome è già sicuro che il Ppe sarà il partito col maggior numero di eletti nel futuro parlamento Ue (le proiezioni gli assegnano 181 seggi, 41 in più dei Socialisti, su un totale di 720), e von der Leyen da ieri è ufficialmente la candidata di punta del Ppe per la presidenza della Commissione, significa che la famiglia socialista è pronta ad andare allo scontro con i Popolari per impedire che la traiettoria dell’Unione svolti a destra.

L’avvertimento lo ha lanciato la spagnola Iratxe García Pérez, presidente del gruppo dei Socialisti nell’europarlamento, al quale appartiene anche il Pd. «Il nostro supporto a Ursula von der Leyen non è garantito», ha detto l’alleata di Elly Schlein. «Se il Ppe vincerà le elezioni negozieremo il programma, ma siamo pronti a fare tutto il necessario per prevenire che la destra detti l’agenda della prossima Commissione. Non sosterremo nessuno che non accetti le nostre priorità».

NUOVI EQUILIBRI - I Socialisti hanno buoni motivi per preoccuparsi. Sul tavolo, concrete, ci sono due ipotesi. La prima è l’entrata degli europarlamentari dell’Ecr, il partito dei Conservatori presieduto da Meloni, nella maggioranza che sosterrà la prossima Commissione. Uno scenario del quale la premier italiana ha discusso più volte con la stessa von der Leyen e con Manfred Weber, tedesco pure lui e capogruppo del Ppe.

 

 

Sarebbe la cosa più naturale da fare, visto che i Conservatori sono accreditati di un ottimo risultato, che dovrebbe garantire loro 83 eurodeputati, ben più dei 62 che ottennero nel 2019. E se gli elettori europei sterzano a destra (ci si aspetta un balzo in avanti anche dei sovranisti di Identità e democrazia, la famiglia della Lega), le istituzioni debbono tenerne conto. Da qui, l’operazione per far entrare i Conservatori nella maggioranza ed affidare ad alcuni di loro incarichi di rilievo nella Commissione: il nome di Raffaele Fitto, attuale ministro per gli Affari europei e il Pnrr, è già quotatissimo.

Insieme, Ppe ed Ecr avrebbero i numeri per rimodellare il Green Deal e bloccare il fondamentalismo ecologista dei Socialisti, anche se questi dovessero fare squadra con i Verdi e i “macroniani” del gruppo Renew Europe, la cui rappresentanza parlamentare, in tutte le proiezioni, è destinata a ridursi. E proprio il rischio di essere marginalizzati nella prossima maggioranza spiega l’ostilità dei Socialisti verso von der Leyen e il suo progetto.

Anche ieri, nel discorso con cui ha accettato l’investitura a candidato del Ppe per la presidenza della Commissione, von der Leyen ha avuto toni durissimi contro Alternative für Deutschland e il Rassemblement National di Marine Le Pen, alleati della Lega nel gruppo sovranista, bollati da lei come «amici di Putin». Si è guardata bene, però, dall’attaccare i Conservatori di Meloni, dai quali potrebbe essere sostenuta nei prossimi anni. Anche il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, vede con favore questa operazione: «Si possono creare alleanze diverse da quelle che ci sono state nelle ultime legislature», ha ribadito ieri.

Il problema è la presenza, nella famiglia dei Conservatori, di partiti che i Popolari ritengono inavvicinabili, come il francese Reconquete! di Éric Zemmour e l’ungherese Fidesz di Viktor Orbán, che dovrebbe aderire all’Ecr dopo le Europee. Una “soluzione” comunque c’è, ed è la possibilità che solo alcuni eurodeputati della famiglia dei Conservatori (tra cui quelli di Fdi) votino la fiducia alla Commissione.

L’altra ipotesi che sta mandando in subbuglio i Socialisti è quella, più rivoluzionaria, dell’entrata di Fdi nel Ppe, dove oggi l’unico partito italiano è Forza Italia. Anche questa possibilità è discussa da mesi nei colloqui dietro le quinte, e l’eurodeputato forzista Salvatore De Meo l’ha lanciata nei giorni scorsi in un’intervista alla testata Euractiv. «Berlusconi la pensava così», ha detto, «e Tajani ha sempre immaginato che il centrodestra italiano, tutto, anche la Lega, potesse entrare nel Ppe».

 

 

Una cosa simile, al momento, è impensabile per Matteo Salvini e i suoi. Ma il corteggiamento del Ppe a Meloni è reale e rientra nella filosofia dei Popolari, che non vogliono avere a destra avversari “presentabili”, capaci di attirare il voto dei moderati.

A queste offerte la premier italiana ha sempre risposto che intende restare con i Conservatori, ma a Bruxelles l’operazione è comunque considerata possibile. Quanto basta per allarmare i Socialisti, che vedrebbero la loro avversaria entrare nella maggioranza dalla porta principale, quella del partito più grande, che con l’ingresso di Fdi si rafforzerebbe ulteriormente. «Non riesco ad immaginare come sarebbe possibile per il Ppe accettare nella propria famiglia una leader di partito che ancora non riesce a dichiararsi antifascista», ha detto a Euractiv l’italiano Giacomo Filibeck, segretario generale del Partito socialista europeo.

I FRANCHI TIRATORI - Intanto von der Leyen deve fare i conti con un consenso, all’interno del suo stesso partito, inferiore al previsto. Dei 737 delegati che ieri, al congresso del Ppe a Bucarest, dovevano approvare la sua candidatura, hanno votato in 499, e i voti per lei sono stati 400. Era l’unica in corsa, e le 89 schede contrarie rimediate nello scrutinio segreto (dieci i voti nulli) dicono che non tutti sono con lei.

Dalla capitale romena, Tajani ha rivendicato per l’Italia la vicepresidenza della prossima Commissione e si è detto convinto che Fitto «farebbe benissimo» il commissario, anche se la cosa – giura – ancora non è stata discussa. «Difesa, Agricoltura, Industria e Ambiente», secondo il segretario azzurro, sono i portafogli europei ai quali l’Italia dovrebbe puntare. 

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