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Von der Leyen, "chiamatemi Ursula": per cercare la riconferma imita Meloni

Fausto Carioti
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«Call me Ursula», chiamatemi Ursula e basta. Il nome di battesimo come logo della campagna: un cerchio con sei stelle e la scritta «Ursula 2024», nient’altro. E poi la brevissima descrizione con cui si presenta sul proprio sito: «Sono un’orgogliosa europea, madre di sette figli»: ricorda qualcuno? Il «modello Giorgia» avanza e conquista anche von der Leyen. Giorgia che basta scrivere il suo nome sulla scheda, Giorgia che si presentò al grido di «Io sono una donna, sono una madre, sono italiana, sono cristiana».

L’elemento personale è cruciale, ha spiegato Alexander Winterstein, il portavoce della campagna con cui «Ursula», che non è candidata alle Europee, punta a convincere popolo ed élite di meritare un altro giro alla guida della Commissione di Bruxelles. Non ha detto il resto, e cioè che non è solo marketing: promuovere il collettivo e i nobili ideali è nel dna della sinistra, concentrare la campagna elettorale sul leader e i suoi valori è tradizione della destra, e infatti basta vedere come hanno reagito nel Pd quando Elly Schlein ha provato a far mettere il proprio nome nel simbolo.

 

 

 

Un anno e mezzo fa, quando Meloni andò a palazzo Chigi, lei e von der Leyen sembravano l’olio e l’acqua, destinate a non intendersi mai. La sinistra politica e giornalistica era convinta che l’europeista tedesca e la destrorsa nazionalista italiana mai avrebbero parlato la stessa lingua. Dalla prima ci si aspettava che organizzasse la conventio ad excludendum nei confronti della seconda. Tempo qualche mese e l’isolamento politico, le condanne per violazione dello Stato di diritto e uno spread insostenibile avrebbero fatto chiudere la parentesi. Un nuovo governo tecnico, ovviamente col Pd in maggioranza, avrebbe poi “normalizzato” l’Italia.

Nulla di questo è accaduto. Von der Leyen ha capito che Meloni è qui per restare. E visto anche che il resto d’Europa sta deviando a destra (il predominio di Fdi in Italia è indiscusso, i sovranisti sono il primo partito in Austria, Francia e Olanda, in Ungheria Viktor Orbán non ha avversari), la presidente della commissione ha capito che avrebbe dovuto spostarsi pure lei in quella direzione, come già stava facendo la sua famiglia europea, quella dei Popolari, cui appartiene Forza Italia. Così il piano Mattei si è trasformato nella grande partnership Ue-Africa, von der Leyen è atterrata a Tunisi assieme a Meloni per siglare intese con il presidente Kais Saied, fermare gli immigrati prima che s’imbarchino alla volta di Lampedusa è diventato il cuore della strategia europea di controllo dei flussi migratori. E von der Leyen ha conquistato posizioni nella lista nera della sinistra, dove ora figura poco dietro a Meloni, Orbán e Marine Le Pen.

 

 

 

Gli ultimi ponti li ha bruciati lunedì sera, nel dibattito tra i candidati alla guida della Commissione organizzato a Maastricht dalla rivista Politico.eu. Con scandalo dei Socialisti e dei Verdi, «Ursula 2024» ha aperto all’ipotesi di un accordo con il gruppo dei Conservatori europei guidato da Meloni, la cui consistenza aumenterà dopo il voto di giugno (oggi ha 68 europarlamentari, secondo le proiezioni salirà a 81). Era già nell’aria, ma, come avverte Politico, «la sua offerta a Meloni e ai suoi alleati segna un momento drammatico nella campagna per il controllo delle potenti istituzioni Ue». Le sigle di destra-destra, sinora, sono state tenute lontane dalla stanza dei bottoni da un accordo tra il Ppe e gli altri partiti del vecchio establishment europeo, ma è un lusso che difficilmente si potranno permettere dopo le elezioni. E questo qualunque sia il nome del prescelto: Ursula, Roberta, Antonio o un altro.

 

 

 

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