Europarlamento, si parla di repressione subita dalle iraniane? Vuoti i banchi della sinistra
L’aula completamente deserta, una distesa di seggiole vuote: sui banchi della sinistra europea sono sedute appena in quattro. Strasburgo, la “plenaria” (per modo di dire) sulla risoluzione di condanna alla sistematica repressione che subiscono le donne iraniane è uno schiaffo in pieno volto. Alla memoria di Mahsa Amini, tanto per cominciare, odi Nika Shakarami o di Armita Geravand odi Aida Rostami odi Ahou Daryaei, la ragazza che è letteralmente rimasta in mutande, per protesta contro il regime, neanche un mese fa, sulla scalinata dell’università di Teheran. Ma è una vergogna, quella fotografia dell’europarlamento spopolato che manco certi borghi di montagna, per l’intero Occidente. Che qui, a Milano, a Roma, a Parigi, a Berlino, riempie le piazze contro i femminicidi e, poi, non si presenta neanche quando a commetterli è la furia di Stato legalizzata dagli ayatollah. Qualche breve sulle agenzie, un dibattito che pare più un monologo, tenuto da una manciata di rappresentanti comunitari perché per gli altri, evidentemente, non è una priorità.
La discussione si è tenuta mercoledì scorso, il 27 novembre: in quell’emiciclo coi posti abbandonati (come abbandonate sono, a questo punto, le sorelle persiane). L’approvazione del documento, invece, è di ieri: con qualche presenza in più (562 voti a favore, due contrari, trenta astensioni), ma non al netto delle polemiche e del poco coraggio dimostrato. «Abbiamo promosso un emendamento al testo per chiarire che la situazione delle donne iraniane è intrinseca al fondamentalismo islamico ed è una conseguenza diretta dell’applicazione della sharia», cioè della legge musulmana, chiarisce, per esempio, l’eurodeputata della Lega Silvia Sardone, «ma non è passato perché la sinistra non ha voluto votarlo, come se non ci fosse un legame». Come se Amina (morta perché non indossava “adeguatamente” il chador) o Nika (uccisa pure lei dalle guardie della rivoluzione) o Aida (massacrata dalle torture dei pasdaran perché aveva osato aiutare i manifestanti che protestavano contro Khamenei) non avessero niente a che vedere con quel particolare che tanto particolare non è, di una religione di Stato che non ammette ribellione.
Zitti tutti. Mute le femministe, i collettivi, i cortei, i movimenti per le donne (che non osano dire mezza parola neppure su quell’altro scempio senza fine che è la prigione a cielo aperto dell’Afganistan talebano). Non fiata nessuno, ma nemmeno nessuno si presenta, pensando, forse, che basti qualche paginetta di risoluzione col logo stellato dell’Ue sopra e l’invito, in punta di piedi, messo nero su bianco, rivolto alle «autorità iraniane» ad abrogare la legislazione discriminatoria di genere e poi via, magari, a strapparsi le vesti per Gaza e ad alimentare la propaganda propal che quella, sì, fa sempre il pieno di presenze.