Xi Jinping parla con Putin per bloccare il disegno di Trump di incunearsi tra Mosca e Pechino. E sa anche che il presidente russo soffre questa situazione di obbligato allineamento. Vedremo inoltre come la Cina si muoverà rispetto alle tensioni tra il Pakistan e l’India: farà valere la propria influenza con il regime di Islamabad al fine di scongiurare l’escalation oppure si smarcherà tatticamente affinché il suo silenzio penalizzi l’India e riporti nell’orbita cinese quelle multinazionali americane che si stavano trasferendo alla corte di Modi e non pagare dazio?
Bastano queste due grandi questioni per capire il ruolo sempre più pesante giocato dalla Cina in una globalizzazione che, com’è fatta ora, conviene solo alla sua economia. Da qui la domanda: l’Europa che ruolo vuole avere in mezzo a questi due pesi massimi? Gioca per accentuare la spaccatura tra Cina e America e infilarsi come terzo soggetto politico, oppure “tira a campare” quasi vivendo alla giornata cercando di volta in volta spazi commerciali? Sta con Sanchez o con la Meloni?
La questione sta diventando di notevole importanza perché l’intensità geopolitica si sta alzando di temperatura, con tre guerre in corso profonde (tre guerre che noi vediamo ma ce ne sarebbero altre più lontane dai nostri riflettori che pure ci riguardano perché si combattono per avere il dominio di gas, di petrolio e di terre rare come dimostra il caso della Repubblica Democratica del Congo). La Cina è ovunque. È in Africa, appunto. E, attraverso la propria leva finanziaria, fa da aggregatore in quelle aree che un tempo avremmo chiamato Paesi in via di sviluppo e che oggi invece trovano casa direttamente nei Brics o nei suoi dintorni. Ovviamente le contraddizioni non mancano, come appunto dimostra la freddezza che c’è tra India e Cina. Eppure nonostante tutte le contraddizioni il potere disegnato dal compasso di Xi Jinping sta pesando negli equilibri globali e - ripeto - solo il ruolo degli Stati Uniti è in grado di correggere le asimmetrie in corso.
Trump deve recuperare tutto il tempo regalato alla Cina dal lontano 2001, quando fu fatta entrare nel Wto con certe condizioni rimaste poi invariate e a seguito delle quali l’industria e la finanza cinese hanno comodamente conquistato porzioni di mondo emergente e non solo. Pertanto se il presidente americano forza i toni e pare comportarsi come un ariete forse lo fa per destrutturare le distorsioni tollerate da questo mercato. Lo diciamo da tempo che la Cina va frenata e riportata negli argini di una globalizzazione dove vince chi sfrutta le persone e sventra l’ambiente.
Quando apriremo gli occhi sul fatto che ciò che non vogliamo fare o vedere in Occidente è praticato dalla intoccabile Cina e dai paesi suoi satelliti? Le produzioni a basso costo o le estrazioni dei minerali che ci servono per gli applicativi digitali o per concretizzare la conversione green (dalle batterie ai pannelli solari) girano sulla pelle dei lavoratori e necessitano di processi estrattivi fortemente impattanti sulla natura; ed è per questo motivo che la Cina è diventata sempre più paese leader in certi settori a scapito di chi invece non ha (giustamente) mai inteso toccare diritti conquistati a fatica. Tuttavia non può continuare così.
Ha ragione quel largo pezzo di deep state militare americano che da qualche anno tenta di coprirsi sul fianco indo-pacifico proprio per prepararsi a una eventuale guerra con Pechino; e ha ragione Trump quando si preoccupa di riportare la produzione in casa, sia per garantire la piena occupazione ma anche per non dipendere in una catena di approvvigionamento troppo lunga e poco controllata. Non è un caso se alla Casa Bianca nessuno abbassa lo sguardo da quella Taiwan dove i cinesi si esercitano, simulano, penetrano. Lo ripeto: l’Unione europea cosa pensa di fare con Pechino?