La Commissione Europea ha confermato ieri la tappa intermedia di riduzione del 90% delle emissioni nocive entro il 2040, tra quella già stabilita del 50% entro il 2030 e quella finale del 100% entro il 2050. Per raggiungere questo nuovo fantasioso target è stata introdotta una novità, cioè degli elementi di flessibilità, necessari ma forse non sufficienti per ottenere il consenso di tutti i Paesi membri. A seconda di come la si guardi questa novità potrebbe rappresentare un altro passo indietro rispetto alla linea green più ortodossa, dopo quello sul Greenwashing, o un passo avanti su quella della presunta sostenibilità industriale dell’Unione Europea. Oppure potrebbe trattarsi dell’ennesima occasione perduta, stavolta fatale.
Nel primo gruppo rientrano i talebani del clima e della sinistra, tra i quali c’è la vicepresidente della Commissione Teresa Ribera che una settimana fa ha lanciato strali contro tutte le possibili manovre che potrebbero intaccare la strada verso la salvezza del pianeta e che ieri si è appellata alle temperature di questi giorni per attaccare la «codardia politica» dei membri Ue. Ma che poi si è accontentata di condividere la proposta della Commissione come il minore dei mali. Nel secondo gruppo c’è la Germania che di fatto anche stavolta ha dettato l’agenda alla Von der Leyen a uso politico interno. Nel terzo tutti gli scettici, il governo italiano in primis. La Lega si dice convinta che così «la Von der Leyen distruggerà l’industria italiana». «È una follia eco-talebana», sbotta l’eurodeputata Silvia Sardone. Fdi parla di «obiettivi irrealistici» e «suicidio europeo». Il capodelegazione, Carlo Fidanza, tuona: «Questo provvedimento segna un passo deciso verso la desertificazione produttiva del continente e si tradurrà in un diluvio di nuove tasse e burocrazia contro imprese e cittadini».
Anticiclone rosso, usano la paura per spacciare ricette socialiste
Fa caldo? Certo che sì: è estate. È cambiato il clima? Certo che sì: cambia da sempre. E all...Sulla stessa linea gli industriali europei. Durissima pure la Etuc, la confederazione europea dei sindacati di cui fanno parte per l’Italia Cgil, Cisl e Uil, e che rappresenta 45 milioni di iscritti: «Nel mezzo di una crisi che per l’industria europea costa 500 posti di lavoro al giorno è estremamente irresponsabile fissare un obiettivo più elevato senza un piano per le sue conseguenze sulle nostre industrie, sulla sua forza lavoro e sulle loro comunità».
Il più importante degli elementi di flessibilità introdotti riguarda la possibilità che una parte dell’obiettivo del 90% sulle emissioni venga maturato all’estero in Paesi in via di sviluppo, cioè venga raggiunto attraverso crediti di carbonio internazionali garantiti dalle Nazioni Unite. Si tratta di una quota massima del 3% delle emissioni nette del ’90 cumulabile non prima del 2036. I critici sostengono che la misura dà la possibilità ai governi di pagare Paesi poveri al di fuori dell’Ue per ridurre le emissioni e conteggiare tale contributo come progresso verso l’obiettivo finale. In questo modo i Paesi Ue potrebbero dire di aver raggiunto le emissioni zero, quando in realtà non è così.
A questi dubbi il commissario al clima Wopka Hoekstra ha risposto che bisogna tenere conto del fatto che «il pianeta non fa distinzioni tra le emissioni emesse nell’aria», e che in ogni caso ne beneficerà ovunque avvenga il taglio di emissioni. In secondo luogo ha detto che bisogna guardare in faccia la realtà: «Per raggiungere gli obiettivi è necessaria una combinazione di ambizione e pragmatismo». L’ex ministro degli Esteri olandese ha sottolineato che i crediti «devono essere aggiuntivi, certificabili e verificabili». Sia il target del 90% che il sistema dei crediti internazionali sono stati introdotti dalla Commissione in linea con l’accordo di coalizione tedesco tra Cdu-Csu e Spd, il che ha già fatto storcere il naso a molti.
Lega contro Von der Leyen: "Il piano per il clima una follia, ci vuole distruggere"
"La proposta della Commissione europea di fissare il target di diminuzione delle emissioni del 90% al 2040, è...«Abbiamo parlato con Hoekstra e applicato al trattato di coalizione gli stessi principi che sta prendendo in considerazione per l’obiettivo del 2040», ha detto a maggio Andreas Jung, uno dei negoziatori dei cristiano-democratici, ma l’impressione è che in realtà sia stata la Commissione ad adattarsi ai suggerimenti tedeschi per agevolare l’accordo di governo a Berlino. Nemmeno quella quota di flessibilità del 3% è piaciuta. Il presidente francese Macron ha suggerito di rinviare l’accordo. «Abbiamo avuto conversazioni molto costruttive con tutti gli Stati», ha affermato Hoekstra che ha sottolineato come la Commissione sia «molto disponibile a continuare questo dialogo». Le altre misure della proposta riguardano una vaga «maggiore flessibilità fra i settori» che i Paesi potranno sfruttare per compensare gli eventuali ritardi in taluni con i progressi degli altri. I settori più indietro sono proprio i più sensibili peri cittadini, quelli automobilistico ed edilizio, martoriati dall’agenda green. Il nuovo obiettivo Ue non farà altro che peggiorare la situazione.