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Pd "ostaggio" di Ursula von der Leyen: perché non possono sfiduciarla

di Alessandro Gonzato mercoledì 30 luglio 2025

3' di lettura

La coerenza, diceva Oscar Wilde, è l’ultimo rifugio delle persone prive d’immaginazione. Dunque la sinistra ha fantasia da vendere. Fino a ieri, per Elly e sodali, von der Leyen era il baluardo contro «le destre», la paladina del green, il presente e il futuro, oltre che il passato ma non certo con accezione negativa dato che alla formazione della prima “maggioranza Ursula”, nel 2019, il Pd contribuì in massa, e senza il voto dei 14 grillini la maggioranza non ci sarebbe mai stata. La presidente della Commissione Ue la spuntò per 9 voti. Lo scorso novembre Schlein e Bonelli le hanno rinnovato la fiducia, a differenza di Lega e Fdi (quest’ultimi successivamente hanno dato il via libera alla Commissione). Oggi però, dopo l’accordo con Trump sui dazi, ecco che von der Leyen per democratici e Verdi è diventata un’inetta, ma ovviamente l’obiettivo reale è quello di sparare a casaccio ancora una volta contro Meloni, la stessa che per la sinistra doveva lasciar trattare l’Europa ma che poi, quando l’Europa ha trattato, è diventata una dei principali colpevoli.

«Si poteva scegliere di reagire con durezza o capitolare», ha tuonato il deputato Giuseppe Luciano Calogero Provenzano detto Peppe, scudiero di Elly, «avete scelto di capitolare, tanto il prezzo lo pagano imprese e lavoratori. Abbiate almeno la dignità», sentite il Provenzano, «di non esultare e di scusarvi». Il Pd invece avrà la dignità di presentare una mozione di sfiducia alla von der Leyen? Nodi certo, e il motivo – atteniamoci a quello politico – è semplice: se davvero i dem fossero coerenti coi loro ruggiti, dei miagolii, a Bruxelles la maggioranza si sposterebbe nettamente a destra, e il primo rischio per la sinistra sarebbe lo smantellamento dell’“agenda green” nata durante il primo mandato e che ha già prodotto risultati catastrofici in diversi settori. Prima di guardare i numeri del parlamento europeo diamo conto dell’affondo della capogruppo della Sinistra Ue, la francese Manon Aubry, la quale ha risposto al socialista francese Raphael Glucksmann, durissimo sui dazi: «Sfiducerete von der Leyen, come proponiamo noi? Parlare è una cosa. Agire è un’altra».

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Von der Leyen l’anno scorso è stata confermata con 401 voti, 41 in più della soglia necessaria. Il Pd ha 21 europarlamentari e i Verdi 4. Il margine, dunque, sarebbe di 16, molto risicato in caso di mozione di sfiducia, perché si aggiungerebbe qualche tiratore franco di altri gruppi. E a quel punto altro che spostamento a destra della Commissione: il Pd si intesterebbe la caduta di Ursula e nella famiglia dei Socialdemocratici finirebbe all’angolo. Sennonché ecco il presidente dei senatori dem, Francesco Boccia: «Quello di domenica non è stato un accordo, ma una tregua precaria che l’Europa ha pagato a caro prezzo, accettando l’imposizione tutta trumpiana fondata non sul rispetto delle regole multilaterali, che non ci sono più e che la maggioranza ha accettato di mandare al macero, ma su logiche bilaterali e ricattatorie. L’Italia è rimasta muta, subalterna, assente». Meloni, ovviamente, deve «riferire al parlamento». L’eurodeputata Irene Tinagli, anche lei dem, ha sentenziato che «il risultato negativo portato a casa da von der Leyen è la sintesi di mesi di lavoro impostato male in cui governi e Unione europea erano divisi e dove alla fine è prevalsa la linea morbida del governo italiano e tedesco». Forza, Tinagli, cosa aspetta a sfiduciare la presidente? Quella tedesca, s’intende. Tocca al collega Dario Nardella: «La proposta Ue di partenza era zero dazi reciproci, e ora subisce un 15 a 0 con un dazio che è unilaterale, senza contare l’impegno preso da von der Leyen di investire altri 600 miliardi negli Usa e acquisire 750 miliardi di gas naturale liquido da quel Paese». Nardella: stacchi la spina alla Commissione! Macché: vai avanti tu che a me vien da ridere!

Interviene pure il senatore del Pd Alessandro Alfieri, della segreteria nazionale: «Von der Leyen ha avuto un atteggiamento troppo timido per la paura delle conseguenze di una pesante guerra commerciale e per l’atteggiamento eccessivamente conciliante di alcuni Paesi europei». Quindi Alfieri voleva la guerra commerciale. In linea con la Schlein: «Quando governeremo», dichiarazione di febbraio, «Trump non sarà nostro alleato». Al momento pare più semplice che Donald cambi la Costituzione e si candidi per la terza volta. Comunque anche se Elly desse mandato di sfiduciare Ursula, non è detto che i suoi eurodeputati l’ascolterebbero. Anzi. Partirebbero molte pernacchie.

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