La condanna è arrivata il 28 gennaio scorso: ergastolo a Francesco Furchì, calabrese trapiantato a Torino, accusato di avere ucciso Alberto Musy, professionista e consigliere comunale dell’Udc. Il massimo della pena, dunque, per un processo sostanzialmente indiziario: non c’erano prove, nè la confessione dell’imputato. Che è stato ritenuto colpevole perchè fisicamente compatibile all’uomo con il casco- filmato dalle telecamere di sorveglianza- che sparò a Musi nel cortile di casa. Nel processo è stato ritenuto che Furchì avesse risentimento nei confronti del consigliere comunale Udc, per aspettative politiche e professionali non soddisfatte. Nei confronti della sentenza di primo grado hanno ovviamente proposto appello i legali di Furchì, Gaetano Pecorella e Giancarlo Pittelli. Ma anche la procura della Repubblica di Torino, a firma del sostituto procuratore Roberto Furlan. Un ricorso sorprendente, visto che all’imputato era stata comminata la pena massima. Ma per Furlan l’ergastolo è “ancora insufficiente”, e così ha ricorso chiedendo “di irrogare all’imputato anche l’isolamento diurno per il periodo di almeno sei mesi”. L’appello sarà celebrato davanti al tribunale di Torino il prossimo 11 novembre. Dal carcere di Biella dove è detenuto in custodia cautelare da quando fu arrestato, Furchì mi ha scritto due lunghe lettere, gridando “Mi aiuti, sono innocente!”, e difendendosi anche sui particolari come è diritto di ogni imputato fare. Ne offro qualche passaggio prima del processo. “Vi chiedo aiuto da uomo e da cittadino perchè l’11 novembre ci sarà l’appello e i giudici sono orientati a non sanare questa situazione e obbrobrio pur di non fare perdere la faccia agli investigatori e al pm che ha addirittura fatto appello incidentale fuori da ogni logica e forzando a tutti i costi gli elementi- per altro alcuni falsi e con clamorose omissioni- per arrivare alla condanna. Mi aiuti, la prego, vogliono condannarmi a tutti i costi… (…)” “Vivo da due anni e mezzo fra le sbarre di un carcere fra mille sofferenze, escluso totalmente dal consenso sociale, messo in custodia cautelare da una giustizia che con una condanna in primo grado all’ergastolo ha travolto la mia vita, stabilendo, sulla base di ipotesi e semplici sospetti che sono e devo essere un assassino”. “Sono stato coinvolto e catapultato in una vicenda assurda, nel contesto della quale sono stato individuato come il colpevole ideale dopo quasi un anno di indagini a vuoto…”. “A loro dire avrei ucciso (come se sparare a una persona fosse qualcosa di normale) per motivi banali, non spinto da una ragione grave, ma solo per disattenzioni di cui sarei stato vittima del povero Musy, la cui memoria mi permetto di dire da uomo, da cittadino e cattolico, è stata onorata nella maniera peggiore condannando in primo grado un innocente”. “Avrei potuto uccidere anche perchè a loro dire sono nato in Calabria, e sempre a loro dire sono violento, arrogante, aduso alla barbarie nei confronti di chiunque. Nonostante i miei 52 anni ricordo bene che non ero descritto così fino a qualche giorno prima del mio arresto, quando da presidente della Associazione Magna Grecia di Torino intrattenevo fin dal 2001 rapporti intensi con magistrati di altissimo livello, parlamentari, consiglieri regionali, assessori, prefetti…”. “Secondo il pm avrei ucciso una persona anche se non ho mai preso un’arma in vita mia (nenanche al servizio militare) solo perchè il Musy- persona per bene che stimavo- non mi avrebbe aiutato nelle aspettative che mi ero prefisso (a loro dire) di lavoro e politiche (…) Sarei io l’uomo dle casco solo perchè i luminari consilenti del Pm hanno notato in un filmato semplici e insignificanti analogie di movimento fra il soggetto attentatore e il sottoscritto (…) La corte che dovrebbe essere imparziale e organo giudicante terzo, non ha minimamente ritenuto- nonostante le richieste- di doversi affidare a periti specifici nominati dal tribunale (…) “Io dovevo essere condannato a tutti i costi! Non era possibile che Torino restasse attonita ad interrogarsi su chi potesse avere malvagità così efferata da attentare alla vita di un professionista noto come Musy. E chi se non Francesco Furchì poteva ricoprire il ruolo di assassino? (…) Combatterò in ogni ordine e grado a testa alta perchè la verità venga raggiunta a tutti i costi iniziando dall’11 novembre in Corte di appello per assicurare alla giustizia il vero colpevole che non sono io, ma è ancora libero di girare tranquillo (…) Condurrò la lotta fino in fondo perchè sono innocente… D’altra parte non ho più nulla per cui valga la pena di restare al mondo se non questo: dimostrare la mia totale innocenza! Mi aiuti!- Francesco Furchì” Continua a leggere su L'imbeccata di Franco Bechis
