Supermercati morti, si salvano soltanto i discount, frequentati da un numero crescente di famiglie italiane, in cerca di convenienza e prezzi bassi. Per far tornare i conti del bilancio familiare. Era così fino ad aprile. Poi c’è stata un’inversione di tendenza: le grandi superfici della distribuzione organizzata continuano a soffrire nei reparti non food. Ma gli alimentari tornano a crescere. E se da un lato le catene con i prezzi stracciati (ma non troppo, come vedremo) a maggio hanno aumentato le vendite dell’1,4%, nel complesso la Gdo, sigla che sta per grande distribuzione organizzata, è cresciuta dell’1%. Non che i banconi e le corsie di super e ipermercati siano tornai all’affollamento pre crisi. Questo no. Però l’aria comincia a cambiare. Di austerity gli italiani ne hanno piene le tasche e hanno capito pure che la teoria della “decrescita felice” di Grillo & C è una fregatura solenne. Se il portafoglio si riduce di volume, hai voglia a cercar di sorridere. E comunque la psicologia degli acquisti è un affare maledettamente complesso. Ma dopo la sbornia di neopauperismo gli italiani hanno una voglia matta di ripresa. Non vedono l’ora che qualcuno, un politico, un banchiere, un chicchessia con un minimo di credibilità personale, dica loro: «Signori, la crisi è finita». Certo, i soldi in tasca resterebbero quelli di prima, degli ultimi, maledetti anni di recessione. Ma una ventata di fiducia potrebbe innescare la scintilla indispensabile per rimettere in moto la locomotiva. In attesa di verificare se ciò sia possibile provo a capire cosa succederà nei prossimi mesi sul campo della distribuzione. Chi vincerà il derby infinito? I discount o i supermercati tradizionali? E soprattutto: è vero che le catene low cost sono l’unica ancora di salvezza per milioni di famiglie? Insomma, la convenienza la si può trovare soltanto nelle corsie dove le merci stanno affastellate le une sopra alle altre in un succedersi infinito di scatoloni? Oppure la Gdo ha capito che per riconquistare la clientela perduta deve calare i prezzi? I dati da cui si potrebbe desumere una risposta definitiva a queste domande probabilmente esistono. Ma chi ne è in possesso si guarda bene dal comunicarli al grande pubblico. Li vende, ne fa oggetto di business. Così, da semplice giornalista, non mi restava che svolgere un’indagine empirica. Sul campo. Ed è ciò che ho fatto. Fra le decine di migliaia di referenze che popolano i banconi della Gdo ho scelto quelle che finiscono con maggior frequenza nel carrello della spesa degli italiani. Di quelli ricchi come di quelli meno abbienti. La scelta è stata facile: nel paniere dei prodotti utilizzati nella dieta mediterranea ce ne sono tre a cui nessuna famiglia dello Stivale rinuncia: la pasta, la passata di pomodoro e l’olio extravergine. Dico subito che ho escluso dal mio censimento i prodotti biologici e le Dop (Denominazione di origine protetta): hanno prezzi assolutamente imparagonabili agli altri e caratteristiche che spesso, per non dire sempre, li rendono unici. Impossibile paragonarli agli alimenti ordinari. Così, armato di carrello, taccuino e macchina fotografica, indossati i panni del “casalingo di Voghera” ho passato al setaccio le corsie di cinque insegne fra le più frequentate nel mancato capoluogo dell’Oltrepò pavese. La scelta di Voghera (e dintorni) non è casuale: abito a pochi chilometri della città e le casalinghe di Voghera rappresentano tuttora un cluster, vale a dire un gruppo omogeneo di acquirenti-tipo. Le cinque catene che ho battuto sono In’s Mercato, e Lidl, due discount, il primo italiano e il secondo internazionale, Coop, Esselunga e Iper, quello della Grande “i”. Nella mia caccia ai prezzi non ho dimenticato però un elemento fondamentale: la qualità dei prodotti made in Italy. Già, perché risparmiare va bene ma visti i prezzi di maccheroni e pummarola – l’olio extravergine non è a buon mercato ma non si consuma a ettolitri per fare un buon piatto di pasta – un occhio alla genuinità dei cibi non fa male. Per ogni prodotto ho cercato il meno caro, il più caro e quello italiano al 100%. Con l’eccezione della passata di pomodoro che è uno dei pochi prodotti per i quali è obbligatorio dichiarare l’origine in etichetta. Ne è uscita la tabella che vedete in questa pagina che non ha la pretesa di essere esaustiva. Né di decretare chi sia destinato a vincere la sfida della distribuzione. La lettura dei dati riserva però parecchie sorprese. Vediamoli. Innanzitutto si può dire che quando le grandi catene provano a scendere sul terreno della convenienza, riescono a reggere benissimo il confronto con i discount. Non è vero il contrario: i prodotti a marchio venduti nei supermercati low cost, spesso costano più cari rispetto che nel resto della Gdo. È il caso ad esempio della passata di pomodoro Mutti, venduta da 4 delle 5 insegne che ho visitato Se si eccettua la Coop, dove la bottiglia da 700 grammi costa 1,43 euro, il prezzo praticato dalla Lidl è superiore a quello delle catene tradizionali. La confezione venduta dall’insegna tedesca, costa sì 1,09 euro, ma contiene appena 560 grammi di pummarola. Facendo le proporzioni, 700 grammi verrebbero a costare 1,36 euro, il medesimo prezzo praticato da Esselunga. L’Iper la vende a meno: 1,19. Dunque, occhio alla pezzatura. Una confezione può costare meno semplicemente perché contiene meno prodotto. Il caso della pasta col prezzo più basso dimostra invece che, quando vogliono, le grandi catene tradizionali sanno fare anche loro il low cost. L’Iper, ad esempio, riesce a pareggiare i 39 centesimi chiesti da In’S Mercato per mezzo chilo di penne rigate. Esselunga batte invece Lidl nella confezione da chilo: 65 a 69 cent. Le marche sono tutte di fantasia: Colombino, Donna Chiara, Novella. Ma a quei prezzi c’è poco da disquisire. Nelle paste davvero italiane, fatte con grano duro interamente proveniente dal nostro Paese, l’Iper straccia tutti. Le penne rigate della linea Voi, realizzata in collaborazione con Coldiretti che fornisce la materia prima e garantisce la filiera interamente nazionale, sono le meno care in assoluto con 59 cent per mezzo chilo. La pasta 100% Italia della Coop ne costa 90, i tortiglioni Grano Armando dell’Esselunga addirittura 1,75 euro. Ma ugualmente più costose sono le paste dei due discount: la Selezione Più di In’s Mercato si paga 69 centesimi e le penne Italiamo del Lidl (che però sono Igp) addirittura 75. Interessante è il caso dell’olio extravergine davvero made in Italy. Il prezzo più basso è quello offerto dal discount italiano: 3,49 euro per il Passignano in confezione da 75 centilitri. Lidl non ha neppure un olio da filiera italiana e comunque il reparto condimenti vegetali è a dir poco desolante. Basti dire che gli unici due extravergine presenti hanno lo stesso marchio, Primadonna, e presumibilmente utilizzano la stessa materia prima, ma hanno prezzi al litro diversi. Mistero. Comunque il prezzo al litro del Passignano è di 4,65 euro che non è distante dal Sagra Oro, in vendita a 4,89 all’Esselunga. La convenienza degli hard discount, semmai, deriva dai prodotti che non ci sono sugli scaffali, oggetto nella Gdo tradizionale del cosiddetto “acquisto d’impulso”. Giornali, caramelle gelati, piccola elettronica di consumo, ma anche attrezzi per il bricolage o il giardinaggio e via dicendo. Il braccio si distende verso il bancone e invariabilmente nel carrello finisce fra un 20 e un 30 percento di prodotti rispetto ai quali l’acquirente non ha valutato né la convenienza né; tantomeno l’utilità. Ebbene nei negozi low cost tutto questo ben di Dio semplicemente non c’è E quindi non lo si può comperare. Anche se di recente, proprio la Lidl, ha introdotto le offerte settimanali di prodotti per il fai-da-te per attrarre nel punto vendita la categoria più interessante per tutta la Gdo quanto a volumi d’acquisto generati: i mariti. Ma questa è un’altra storia che racconto nelle pagine seguenti. di Attilio Barbieri @attilionio