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Ucraina, le sanzioni? Un'arma importante ma causano problemi al mercato internazionale

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Andrea Pasini
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La guerra in Ucraina, le sanzioni volute dall’Europa per cercare di fermare l’avanzata di Putin e il blocco dei trasporti sono sicuramente un’arma importante ma stanno anche causando gravi problemi al mercato internazionale e l’Italia è coinvolta in prima persona. 

Si è molto parlato degli aumenti nel prezzo del gas (125 per MWh) e del petrolio che ha superato i 103 dollari al barile, segnando un +7%. I prezzi della benzina in modalità servito hanno sfondato la soglia dei 2,1 euro al litro, un problema che non potrà che riversare sui prezzi al dettaglio visto che in Italia l’’85% della merce viaggia su gomma.

A questo si aggiungo i già tanto citati aumenti delle bollette di luce e gas, ma anche i rincari su alluminio, rame, nickel, ghisa, palladio e fertilizzanti. Secondo Federalimentari anche il prezzo della pasta, insieme a tutti gli altri prodotti a base di cerale, potrebbe superare il 10%. Percentuale che sale a 30% quando si parla di pane . Crea problemi anche l’approvvigionamento di granturco il principale ingrediente delle diete per gli animali che l’Italia importa dall’Ucraina per il 53%. 

Altrettanto problematico il prezzo del mais che potrebbe salire anche del 35% rispetto al 2021. Attualmente il costo è ai massimi storici a 33,3 centesimi al chilo. L’Italia ne importa da Ucraina e  Russia una percentuale attorno all’8%  ma i paesi del Nord Africa hanno Russia e Ucraina come principali fornitori. In caso si trovino in difficoltà, si rivolgeranno a Canada, Australia e Francia, dai quali il Bel Paese importa circa il 60% del grano tenero, con conseguente salita dei costi. Stessa sorte per l’olio di girasole fondamentale per i prodotti dolciari di cui l’Italia importa l’80%.

Davanti a questi numeri ci si chiede come mai l’Italia ma anche la stessa Unione Europea non abbia lavorato per diventare autonoma. Tanti investimenti sono stati fatti per la transizione ecologica ma i risultati tardano ancora ad arrivare. È importante ricordare come una certa parte politica abbia aspramente ostacolato ad esempio la costruzione del gasdotto Tap in Puglia, promettendone l’eliminazione una volta saliti all governo. Se non avessimo perso tempo, oggi l’infrastruttura per il trasporto del gas dall’Azerbaijan in Italia sarebbe già pronta a sopportare una portata di 20 miliardi di metri cubi, il doppio dell’attuale. 

Questo imminente allarme dovrebbe far riflettere le istituzioni e cioè la politica  sulla necessità di un’autonomia in fatto di gas di elettricità così come di grano e di molti altri prodotti della filiera agroalimentare. In Italia i pozzi produttivi per il gas sono 1.298. Di questi, 514 sono “eroganti” e quindi impiegati abitualmente per l’estrazione, mentre 752 sono “non eroganti”, quindi formalmente attivi, ma al momento non impiegati. Ritornare a produrre all’interno del nostro Paese attualmente non è solo una scelta economica ma anche strategica, e le istituzioni dovrebbero anche tornare a riflettere in maniera seria su altri tipi di energia, come quella nucleare, su cui la Francia sta puntando da qualche anno.

Per quanto riguarda il mais, il riso e il grano, la situazione si fa ancora più complessa. Oltre al pericolo Russia, l’Europa deve fare anche i conti con la Cina. 

È fondamentale per il nostro Paese incentivare tutti gli agricoltori, riconvertendo tutte quelle aree abbandonate della nostra penisola con produzioni di mais e grano, così come altri prodotti della filiera. Rivolgiamoci non solo agli agricoltori ma anche ai nostri giovani disoccupati e che hanno voglia di lavorare e offriamo loro gli strumenti giusti per garantire una sufficienza alimentare alla nazione. Secondo lo studio «La riscoperta dell’agricoltura nella youth economy», 9 giovani su 10 ritengono che attraverso l’agricoltura sia possibile creare occupazione di qualità, con valori che arrivano all’89,5% tra i giovanissimi.  

Sopratutto nel sud del nostro Paese troviamo moltissime aree agricole dismesse, che non essendo conveniente coltivare, vengono lasciate in stato perenne di abbandono. La guerra in Ucraina ci deve far riflettere e sopratutto dovrebbe far riflettere chi ci governa sull’importanza di diventare il più possibile un Paese autonomo sotto tutti i punti di vista. 

Perché nessuno, ad esempio, ha pensato di incentivare gli agricoltori o i giovani imprenditori con dei fondi ad hoc per ricominciare a seminare mais, frumento e granturco in tutte le zone agricole lasciate all’abbandono? Attualmente non conviene più seminare questo genere di prodotti agricoli, ma la politica dovrebbe invece guidare un cambio di rotta, incentivando con dei finanziamenti chi si vuole rimboccarsi le maniche e lavorare nel settore agricolo. Quello sarebbe un investimento, non come i soldi regalati con il reddito di cittadinanza. Investiamo la metà dei fondi strazianti per il reddito di cittadinanza agli agricoltori e ai giovani per fare ritornare a vivere le nostre terre ormai abbandonate.

Con questo tipo di operazioni si aumenterebbe l’occupazione, si creerebbero più posti di lavoro e in fine ci renderemmo autosufficienti. Se oggi la nostra nazione avesse prodotto questi bene, le nostre aziende di trasformazione non sarebbero in difficoltà e i prezzi dei prodotti alimentari principali non sarebbero schizzati alle stelle. Non credo che ci voglia un genio per capirlo. 

Il nostro Paese ha tutto ciò che ci serve per rendersi autosufficiente. Dobbiamo solo imparare a sfruttare tutto ciò per garantire al nostro popolo e alle nuove generazioni un futuro migliore e più protetto.

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