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Leggi più snelle e meno burocrazia un motore per l'economia italiana: ripartiamo da lì

Giancarlo Buffo
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In un periodo storico complesso e a tratti imprevedibile come quello che stiamo vivendo occorre interrogarsi sulla possibilità di una legislazione più snella capace di semplificare i processi e ridurre i tempi della burocrazia. Ne è un esempio l’iter, lungo oltre 20 anni, che ha portato allo stanziamento lo scorso anno per la realizzazione della variante alla strada provinciale 460 del Gran Paradiso che renderà più accessibile ed efficiente il polo dello stampaggio a caldo, nell’area del canavese in Piemonte. Si tratta di un distretto di vera eccellenza per il Paese dove sono presenti 240 imprese che producono un fatturato aggregato di oltre 3 miliardi di euro, pari a circa il 2 per cento del Pil della Regione Piemonte. Eppure, nonostante le sollecitazioni e gli impegni presi da più parti, ci sono voluti decenni per arrivare alla realizzazione di un’importante bretella tra Lombardone e Front che collegherà il polo alla tangenziale e alle autostrade. E sebbene sicuramente anche la politica abbia avuto le sue responsabilità, è indubbio che le istituzioni stesse si sono trovate imbrigliate in iter amministrativi e rallentamenti burocratici che hanno fatto sì che le decisioni si dilatassero nel tempo. 

La produzione legislativa generale è eccessiva sotto ogni punto di vista e complessa a tal punto da andare a minare l’efficienza e l’efficacia di provvedimenti e processi, pubblici e privati. Oltre al fatto che molti investitori stranieri considerano la burocrazia italiana un limite fortissimo per entrare nel nostro mercato. Oggi più che mai, infatti, rispettare i tempi nella pianificazione degli investimenti diventa cruciale. La rapidità dei cambiamenti, dovuta anche all’avvento delle nuove tecnologie e alle mutevoli esigenze della società, non è più compatibile con il sistema legislativo attuale. Occorre un intervento mirato e deciso per accorpare quanto più possibile leggi, definire testi unici per dare risposte concrete e immediate al mercato. Qualunque esso sia e qualunque settore riguardi. E’ questo il compito principale del Parlamento oggi, un organismo che non è un soggetto snaturato, come a volte in molti vorrebbero far credere, ma che deve lavorare in maniera ancora più puntuale e scientifica per agire sulle procedure e far fronte alle esigenze che i cittadini manifestano, imprese in primis.

Per agire in questo modo occorre mettersi in ascolto e coinvolgere i territori in maniera diretta. Territori che devono tornare ad essere al centro delle decisioni e nella gestione del patrimonio materiale e immateriale che possiedono. Perché proprio l’orientamento del sistema a far rispettare la forma, più che lo spirito della norma, conduce il cittadino a non percepire più il diritto come una forma di tutela, ma come una sovrastruttura burocratica lontana dal soddisfare immediatamente le istanze legittime di una collettività. Questa “confusione giuridica” obbliga ad avviare un’analisi che si fondi su ciò che oggi viene considerato diritto essenziale per condurre una vita decorosa. Si tratta di esaminare, quali sono le condizioni irrinunciabili per la sopravvivenza e lo sviluppo di una società, in un mondo globalizzato, che deve però garantire una certa qualità di vita, coerente con la storia e la tradizione dei luoghi dove si vive. Se in passato uno Stato doveva garantire la difesa dei confini, battere moneta, emanare e far applicare le norme, oggi tali obiettivi sembrano non essere più determinanti. I confini e le identità nazionali hanno perso progressivamente il loro valore sia sotto il profilo culturale, sia sotto il profilo pratico, allorché si è andati verso un progressivo allentamento della funzione di “confine”. In particolare, l’Unione Europea ha aperto i commerci e la libera circolazione di uomini e mezzi, quale presupposto per una maggiore integrazione tra i popoli del vecchio continente. Parimenti il concetto della moneta nazionale è stato superato con la nascita della moneta unica europea e con la creazione di organismi che tendono a regolare i rapporti finanziari internazionali.

L’affidabilità finanziaria di un’impresa o di una banca è diventata sempre meno un valore assoluto, ma viene oggi percepita come una variabile, condizionata da eventi che avvengono in ogni parte del mondo e che influiscono sulle possibilità di generare profitti e benessere. Meno incisiva è oggi anche la funzione dello Stato nel far applicare le norme. Per di più molte norme sono stabilite al fuori del confine nazionale: l’ONU con i suoi organi (OMS, WTO, ecc.) e l’Unione Europea stabiliscono regole che tutte le nazioni associate sono tenute a rispettare e far rispettare. Ciò avviene non solo per il concetto di reciprocità (come stabilisce la stessa Costituzione Italiana che prevede una rinuncia alla propria sovranità a condizione che anche gli altri partecipanti facciano altrettanto), ma per un senso civico di appartenenza, quali cittadini del mondo, che ci spinge a comportarci in modo corretto rispetto alle esigenze del pianeta e del genere umano, indipendentemente da quello che fanno gli altri. Se a definire il ruolo dello Stato non sono più gli scopi per cui questo era nato, allora occorre rivedere la natura che lega una collettività, anche se per periodi limitati di tempo. E se le decisioni strategiche verranno prese a livelli superiori alla nazione, ridotta a semplice simulacro identitario, sarà comunque necessaria una forma di governo nazionale che risolva le esigenze di base dei cittadini, in termini di servizi e crescita sociale e faccia da rete ramificata sul territorio a contatto con la popolazione, e credo che, per il modello italiano, questa entità possa essere ancorata a un nuovo paradigma che coinvolga tutti i livelli organizzativi dello Stato, dai Comuni agli Enti territoriali fino alle Regioni e al Governo: il Localismo Strategico. 


 

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