Omicidio Melania Rea: 14 anni dopo, il mistero che non smette di inquietare

venerdì 4 luglio 2025
Omicidio Melania Rea: 14 anni dopo, il mistero che non smette di inquietare
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Un femminicidio consumato in un bosco. I tentativi di depistare le indagini. Un processo che ha vissuto numerosi colpi di scena. A distanza di oltre 14 anni dal delitto e 9 anni dopo la sentenza definitiva, il caso di Melania Rea fa ancora discutere. Se n'è parlato anche durante una puntata del programma "Trovati morti", in onda sul canale 122 Fatti di Nera. All’anagrafe Carmela Rea, Melania era una giovane madre di 28 anni, originaria di Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, figlia di un ex militare dell’Esercito italiano. La sua scomparsa, però, avvenne in provincia di Teramo, dove viveva con il marito Salvatore Parolisi, caporal maggiore dell’Esercito. Al termine di un lungo iter processuale, Parolisi è stato condannato in via definitiva a 20 anni di reclusione, pena che sta ancora scontando, ma per arrivare alla verità gli inquirenti hanno dovuto faticare non poco.

Secondo la versione iniziale fornita da Parolisi, il 18 aprile 2011 i tre decisero di fare una passeggiata con la loro bambina di un anno e mezzo verso Colle San Marco, una zona collinare in provincia di Ascoli Piceno. L’uomo raccontò che la moglie si era allontanata per cercare un bagno ed era scomparsa nel nulla. La versione non fu confermata da alcuna testimonianza né da riscontri, alimentando così immediatamente dubbi su Parolisi. Le ricerche iniziarono subito, ma non portarono a nulla fino al 20 aprile, quando un informatore anonimo segnalò di aver trovato un corpo senza vita in una zona boschiva di Ripe di Civitella, in provincia di Teramo, a circa 18 chilometri dal luogo indicato inizialmente: era il cadavere di Melania Rea. L’autopsia rivelò che la vittima era stata colpita da 35 coltellate e che alcune ferite erano state inferte dopo la morte. Il medico legale segnalò anche la presenza di ulteriori particolari inquietanti, come alcune incisioni sul corpo, tra cui una svastica, e una siringa conficcata nel petto della donna, quasi a far pensare a un tentativo di depistaggio. L’omicidio non apparve come il frutto di un’aggressione estemporanea, ma come un’azione violenta e mirata. Fin da subito furono quindi esclusi motivi legati a una rapina. Anche il luogo scelto, difficilmente accessibile ma vicino a un’area in cui i militari svolgono spesso esercitazioni, portò gli inquirenti a concentrarsi sul marito di Melania, tra l’altro esperto in topografia. Nel suo racconto, inoltre, emersero molte discrepanze rispetto all’evidenza dei fatti.

Alla fine, la verità venne a galla: Parolisi aveva ucciso Melania perché si era trovato alle strette. La ventottenne aveva scoperto la sua relazione extraconiugale e, con l’approssimarsi della Pasqua, il fatto di aver promesso a entrambe le donne di trascorrere il pranzo pasquale insieme aveva fatto scattare la follia omicida, forse al culmine dell’ennesima lite coniugale.

A indirizzare subito le indagini verso Parolisi furono numerosi dettagli. Nessun testimone confermò il racconto dell’uomo e, in alcuni casi, le testimonianze raccontavano tutt’altro. Inoltre, le celle telefoniche a cui si era agganciato il telefono di Melania nelle ore cruciali del 18 aprile indicavano spostamenti diversi rispetto a quelli dichiarati. I rilievi scientifici confermarono la compatibilità di tempi e luoghi con la presenza di Parolisi a Ripe di Civitella nel giorno dell’omicidio. Da quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, Parolisi appariva freddo, spesso incoerente. Dai cellulari emerse anche che tentava di gestire entrambe le relazioni anche dopo la morte della moglie. Il 19 luglio 2011, tre mesi dopo la scomparsa di Melania, Parolisi fu arrestato con l’accusa di omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela; per gli inquirenti, il movente sarebbe stato un mix di conflitto sentimentale e paura di perdere il controllo sulla propria vita.

«Per quanto concerne le incongruenze, la contraddittorietà e la non genuinità del racconto – ha spiegato il professor Luigi Alfano, avvocato e criminologo – subito fecero scattare l’allerta da parte degli inquirenti, perché le contraddizioni erano già state evidenziate. Questa soglia di criticità era già emersa nella fase iniziale, in relazione ai tentativi di depistaggio, all’aspetto menzognero e alle bugie compulsive volte a depistare le indagini. Pian piano, ricomponendo il puzzle in tutti i suoi tasselli, gli inquirenti sono riusciti a risolvere il caso, attraverso un meticoloso lavoro di approfondimento investigativo, partendo da dati e riscontri soggettivi e oggettivi, incrociando i dati delle celle telefoniche e l’acquisizione dei tabulati. Io credo che qui le indagini siano state condotte bene, con precisione, correttezza e analiticità, senza sottovalutare alcun dato».

Qui ebbe inizio il complesso iter processuale. In primo grado, Parolisi scelse il rito abbreviato, che era ancora consentito anche per i casi di omicidio, una formula che comporta un eventuale sconto di pena in caso di condanna. Il tribunale di Teramo condannò Parolisi all’ergastolo nell’ottobre 2012. Un anno dopo, nell’ottobre 2013, la Corte d’Appello de L’Aquila concesse alcune attenuanti generiche all’uomo, riducendo la pena a 30 anni di carcere. Cadde l’aggravante della premeditazione, ma rimasero quelle del vincolo di parentela e della crudeltà, mentre venne confermata la condanna anche per vilipendio di cadavere, seppur con uno sconto di pena che permise all’imputato di evitare il carcere a vita.

Il successivo passaggio in Cassazione, nel 2015, portò alla conferma delle accuse ma a un rinvio in Corte d’Appello per il ricalcolo della pena, a quel punto troppo elevata tra rito abbreviato e aggravanti cadute. Parolisi aveva ucciso la moglie in un contesto di crisi familiare, ma senza che vi fosse una pianificazione precisa. Secondo gli Ermellini, andava rivalutata l’aggravante della crudeltà, mentre i 35 colpi inferti sarebbero da attribuire al dolo d’impeto. Con la rideterminazione della pena, Parolisi fu infine condannato a 20 anni di reclusione, pena che il 13 giugno 2016 la Cassazione confermò in via definitiva.

La puntata sul caso Melania Rea è disponibile sulla piattaforma Cusanomediaplay.it.