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Giulia Bongiorno, l'intervista: "Giustizia da rivoluzionare. La Cartabia è soltanto l'inizio"

Pietro Senaldi
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La senatrice Bongiorno è, sicilianamente parlando, assicutata; la qual cosa non significa che è a godersi il sole e il mare sulla spiaggia di Mondello ma che è oberata di impegni, presa tra la riforma Cartabia, appena licenziata dalla Camera, i referendum della Lega per cambiare la magistratura, le votazioni agostane del Parlamento e le difese dei processi che la aspettano a settembre. Già, perché chi pensa che bastino le novità introdotte dal Guardasigilli per guarire la giustizia non ha capito niente. «Mi è capitato di essere fermata per strada da persone che esprimono soddisfazione per una riforma della giustizia che definiscono "epocale" e che pensano potrà cambiare tutto subito», spiega l'avvocato leghista, «il punto è che la riforma Cartabia è solo l'inizio, un piccolo passo, una parte della grande riforma chiamata a rivoluzionare la giustizia: riguarda le regole organizzative, i tempi dei processi, le modalità di esecuzione della pena, il personale, la digitalizzazione... ma non interviene sui protagonisti dei processi. E invece è su questo aspetto che si deve lavorare. Si deve anche pensare a un nuovo esame per l'accesso alla professione forense e aun nuovo concorso in magistratura, mentre stiamo già raccogliendo le firme su referendum che permetteranno di rivedere i rapporti tra funzione requirente e funzione giudicante».

Allora M5S e Travaglio hanno ragione a dire che è una riforma annacquata?
«No, semmai è l'inizio di un cambiamento possibile, anche perché le risorse che arriveranno sono un elemento importantissimo. Di certo, non è una riforma risolutiva di tutti i problemi della giustizia. Ricordiamo, comunque, che il ministro Cartabia è partita dal testo della riforma Bonafede, e lo ha stravolto, non solo tecnicamente».

Abolisce la riforma della prescrizione e taglia i tempi dei processi...
«Sì, ma la differenza essenziale tra le due riforme non è soltanto tecnica, è nell'anima. Per la riforma Bonafede il processo era il luogo dove dev'essere affermata la responsabilità dell'imputato».

 

 

Una concezione della giustizia alla Davigo?
«Esattamente. Si partiva dalla presunzione di colpevolezza: chiunque sia sotto processo è solo in attesa di una condanna, e la ratio del processo era affermare la responsabilità dell'imputato. Da qui l'indifferenza verso i tempi della giustizia e, con l'abolizione della prescrizione, la legalizzazione del processo eterno. La riforma Cartabia si fonda invece sulla necessità di dare tempi certi ai processi, maggiori garanzie agli imputati e un respiro più ampio al ruolo del Parlamento, che indicherà i criteri generali necessari ad assicurare efficacia e uniformità nell'esercizio dell'azione penale e nella trattazione dei processi».

È il suo zampino nella riforma Cartabia, senatrice?
«È uno dei profili che ho maggiormente condiviso. In qualità di responsabile giustizia della Lega ho dato suggerimenti prima a Bonafede e poi alla Cartabia. Ai tempi avevo provato ad inserire nella riforma Bonafede l'istituto dell'ufficio del processo, figure che aiutassero i giudici nell'organizzazione del lavoro. Nota dolente dei nostri tribunali, che vivono nel caos. I Cinque Stelle si erano opposti, temendo l'introduzione di soggetti esterni in grado di condizionare i magistrati... invece, si trattava soltanto di dare loro un ausilio. La Cartabia, al contrario, ha introdotto questo nuovo sistema di aiuto ai magistrati».

La Bonafede però è passata con la Lega al governo e ora vi accusano di aver cambiato idea dopo due anni perché siete diventati il partito di Draghi...
«La ringrazio della domanda perché mi dà l'occasione di smontare questa menzogna. Qualcuno ricorderà che sin dall'inizio, e pubblicamente, definii l'abolizione della prescrizione "una bomba atomica". Ai tempi M5S e Lega andavano d'amore e d'accordo, motivo per cui la mia frase suonò dirompente. In realtà, da avvocato - e ne approfitto per precisare che l'esperienza nella professione è un contributo decisivo per comprendere l'eventuale necessità di un intervento legislativo -, sapevo che il calendario delle udienze spesso viene compilato guardando le date della prescrizione, e abolirla avrebbe sancito l'ergastolo processuale per l'imputato e la paralisi di tutti i giudizi. Per questo la Lega, dopo una lunga discussione con Di Maio e Bonafede, congelò l'entrata in vigore della norma, subordinandola a una riforma del processo penale che potesse incidere sui tempi. Se Bonafede non avesse accelerato il processo noi ci saremmo opposti all'entrata in vigore, anche lasciando il governo».

 

 

Sì, però alla fine...
«No. Quando l'ex Guardasigilli presentò la sua riforma, che non assicurava affatto tempi certi per la giustizia, noi, in un consiglio dei ministri del luglio 2019 durato fino a notte fonda, coerentemente con quanto sostenuto sino a quel momento abbiamo criticato aspramente il testo, inidoneo a disinnescare la bomba atomica rappresentata dall'abolizione della prescrizione. Fu l'inizio della rottura del governo gialloverde, che si spaccò anche sulla giustizia. Ecco perché oggi la Lega non può essere accusata di incoerenza».

Se la Cartabia è solo l'inizio, quali altri rimedi servono per curare la giustizia?
«Snellire le regole organizzative non basta. È necessario prevedere un processo davvero incentrato sul sistema della parità tra le parti, abolendo ogni retaggio del sistema inquisitorio che, stratificandosi negli anni, ha impedito al nostro sistema processuale di compiere un'autentica svolta liberale. Svolta che, alla prova dei fatti, è rimasta soltanto una timida intenzione del nostro attuale codice di procedura penale. Va ripensata l'abilitazione all'esercizio della professione: da tempi e modalità del praticantato, al fine di garantirne l'effettività, alle prove d'esame. Attualmente si registrano troppe differenze nelle percentuali di candidati ammessi all'orale tra le diverse Corti di Appello: non è ammissibile».

Torniamo ai giudici, i protagonisti... La Lega, con i radicali, raccoglie firme a sostegno di sei referendum contro la magistratura...
«Contro? Io direi a favore».

Ma perché i referendum leghisti sarebbero a favore dei magistrati?
«Un tempo, la prima domanda che mi facevano i clienti che ricevevo in studio era quanti anni di carcere rischiavano. Ora mi chiedono a quale corrente appartiene il giudice, se è politicamente schierato con il pm o se è un suo rivale, perché temono che il correntismo incida sulla sentenza più delle prove. Ciò mina la fiducia in tutto il sistema giustizia. Chi subisce una condanna normalmente la ritiene ingiusta, ma, da quando sono emerse le negoziazioni tra correnti di magistrati, la decisione è sistematicamente vissuta come il frutto di un disegno diretto a colpire l'imputato a prescindere dalle prove. Ci sono troppi sospetti nei confronti dei magistrati; anche di quelli del tutto indipendenti, purtroppo. È interesse dei magistrati per bene cambiare subito».

 

 

Il caso Palamara è stato la svolta?
«Ha fatto emergere il tema delle lotte di potere e delle spartizioni di cariche tra le correnti. In tanti hanno provato a raccontarlo come un'anomalia isolata ma le storture del correntismo sono un problema concreto e capillare. Non si può dimenticare la chat, riportata dalle cronache, in cui Palamara, commentando con un autorevole collega, afferma che Salvini ha ragione sulla politica degli sbarchi, ma va perseguito a prescindere».

Palamara ha perso una guerra di potere e al suo posto c'è chi l'ha sconfitto?
«Non le saprei dire chi ha vinto e chi ha perso. Hanno perso in molti. Di certo Palamara, nel momento in cui sono state diffuse intercettazioni inequivocabili che lo riguardavano, ha deciso di scoperchiare una situazione imbarazzante del potere in toga. E la sua radiazione non ha segnato la fine di questo sistema, che evidentemente non era confinato all'agire di un singolo».

L'obbligatorietà dell'azione penale si sta rivelando un boomerang per i pm?
«È necessario intervenire per rimuovere la discrezionalità di fatto che preclude l'effettiva attuazione del principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. Anche per il cospicuo numero delle notizie di reato, le Procure scelgono cosa perseguire in via prioritaria».

Perché i referendum leghisti aiutano i giudici?
«La maggior parte dei magistrati sono donne e uomini perbene, che studiano molto e decidono in modo imparziale. Purtroppo ce ne sono altri non all'altezza della loro funzione, e quanto apparso sui media ha inciso su tutti. Conosco magistrati retti che, se si chiede loro che mestiere fanno, preferiscono rispondere di essere dipendenti pubblici. Serve una svolta che valorizzi il merito, non l'appartenenza alle correnti. I referendum possono essere l'inizio di un cambiamento».

Più nel dettaglio?
«Il referendum riguarda diversi temi della giustizia: i quesiti sono vari e tutti essenziali per costruire una riforma graduale, ma ampia, che tocchi direttamente le criticità mai risolte. Uno dei quesiti riguarda la separazione delle carriere tra magistratura inquirente e magistratura giudicante. Sarebbe un cambiamento radicale, cardine di un'autentica riforma. Inoltre, puntiamo anche a eliminare il peso delle correnti, ad assicurare una valutazione più corretta della produttività».

Associazione Nazionale Magistrati e Consiglio Superiore della Magistratura la pensano diversamente...
«Credo che le loro posizioni siano influenzate da un preconcetto. Da sempre, uno dei punti maggiormente criticati dall'Anm è la separazione delle carriere. A questo proposito, voglio ricordare le parole di Giovanni Falcone, che sosteneva che il pm "nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm siano, in realtà, indistinguibili". Oggi sono maturi i tempi perché questa sua visione ultramoderna e autenticamente liberale venga realizzata e possa essere condivisa dalla stragrande maggioranza dei magistrati».

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