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Giustizia, dal caso Feltri alla trattativa Stato-mafia: bisogna limitare i poteri dei pm

Vittorio Feltri

Roberto Cota
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I pm, già i pm. I rappresentanti dell'ufficio del pubblico ministero hanno chiesto la condanna a tre anni e quattro mesi di carcere per Vittorio Feltri (otto mesi per Pietro Senaldi), per aver scritto un articolo. Per restare all'attualità, sempre magistrati inquirenti hanno portato avanti per anni il famigerato processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. Per lungo tempo politici ed altri rappresentanti delle istituzioni sono stati infangati. Poi, tra primo e secondo grado, gli imputati sono stati praticamente tutti assolti. Ho fatto due esempi per restare agli ultimissimi giorni. Ma l'elenco di azioni e posizioni dei pm che si possono definire sconcertanti è lungo. Anzi, lunghissimo. Per non dire infinito.

 

Spesso si dice che esiste la dialettica processuale e che il pm, appunto, è solo una parte del processo. Il cittadino dovrebbe avere fiducia nel giudice terzo. Non è proprio così in quanto: a) esiste spesso un condizionamento ambientale ed una promiscuità che non rende il giudice davvero terzo; b) i processi durano anni e i danni che provocano indagini e richieste infondate sono irreparabili; c) le Procure possono andare anche contro le decisioni dei giudici perché comunque hanno la possibilità di impugnare le sentenze di assoluzione. In passato si è parlato di far eleggere i capi delle Procure direttamente dal popolo. Sono stato un sostenitore di questa soluzione. Mi sono ricreduto.

 

Dopo aver visto i Cinquestelle al poteremi sono reso conto che, in un determinato contesto, il giustizialismo delirante avrebbe potuto anche arrivare ai vertici delle Procure, magari sostenuto da certa stampa (non da Feltri e Senaldi). Con la ulteriore difficoltà di dover riparare danni enormi alle elezioni successive. Alla fine, l'unica cosa da fare è quella di limitare i poteri dei pubblici ministeri. Sulla durata dei processi (la riforma del ministro Cartabia è un po' timida) e quindi sulla durata dell'esercizio dell'azione penale. Sulla facoltà di impugnare le sentenze quando l'accusa è soccombente. Sulla possibilità (oggi troppo estesa) di richiedere misure cautelari ed anche, infine, introducendo la impossibilità di ricoprire uffici direttivi per chi ha portato avanti in precedenza indagini rivelatesi infondate.

 

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