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Eutanasia sì o no? Perché il dibattito va fatto senza alcun pregiudizio

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Bruno Ferraro*
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L'eutanasia è un'azione o omissione che, per sua natura e nelle intenzioni di chi agisce (eutanasia attiva) o si astiene dall'agire (eutanasia passiva), procura anticipatamente la morte di un malato allo scopo di alleviarne le sofferenze. Essa si risolve nell'uccisione di un soggetto consenziente in grado di esprimere la volontà di morire, o nella forma del suicidio assistito (con l'aiuto del medico al quale si rivolge perla prescrizione di farmaci letali per l'autosomministrazione) o nella forma dell'eutanasia volontaria in senso stretto (con la richiesta al medico di essere soppresso). In proposito è stata approvata la legge sul testamento biologico, che consente a tutti di dettare disposizioni destinate a operare qualora il soggetto venisse a trovarsi in condizioni di incapacità. Il medico che interviene per rispettare la volontà del soggetto è esente da responsabilità civile e penale.

 

 

Tutto questo si è reso possibile in ossequio ai principi che regolano uno Stato laico (articoli 2, 13 e 32 della Costituzione ed articoli 1,2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea). Con una sentenza del 2019 la Corte Costituzionale, occupandosi dell'articolo 580 CP, ha ritenuto "non punibile a determinate condizioni chi agevola l'esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli". Non potendo la Corte indicare le particolari condizioni, ne consegue che è diritto-dovere del Parlamento di farlo, rispettando alcuni paletti: consenso informato, cure palliative, autorizzazione del Servizio Sanitario Nazionale previo parere del Comitato Etico competente.

 

 

Gli aspetti da considerare sono numerosi e delicati e vanno affrontati senza pregiudizi religiosi o ideologici. Sullo sfondo c'è un dibattito che mette a confronto tradizione (tutela senza limiti del diritto alla vita) e modernità (libertà di coscienza e autodeterminazione). Alcuni limiti li ha indicati la stessa Corte: malattia grave e incurabile, impossibilità di ulteriori trattamenti sanitari, sofferenza insostenibile, capacità di intendere e volere del paziente. Un quinto limite è stato introdotto dalla legge sul testamento biologico e consiste nel divieto di accanimento terapeutico (trattamenti inutili). Un sesto limite è quello già citato delle cure palliative che aiutano il paziente a gestire in modo non disperato la sua condizione, eliminando o riducendo il dolore. Infine, va riconosciuto agli operatori sanitari il diritto all'obiezione di coscienza, poiché il giuramento di Esculapio obbliga i medici a non dare la morte al paziente, neppure se da lui richiesta.

*Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione

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